(e noi, fanciulli ancora, intorno intorno
ascoltavamo con pupille immote)
narrava del Diavolo la caccia
pei dossi della squallida Mughera.
Negra di pelo, orribile, con gli occhi
fiammeggianti,, vedevasi una cagna
fuggire velocissima ululando:
e dietro ad essa un'affannosa muta
di segugi fantastici, e dovunque
voci d'inferno e strider di catene.
(B.Belotti, in "Val Brembana", poemetto, 1930)
L'imminente 31 Ottobre è di ispirazione per questa curiosa esplorazione lungo le alture a nord di Zogno. Lo spunto è dato anche da un bel testo di Vittorio Polli,* che accompagna il lettore alla scoperta dei luoghi patrii di don Antonio Rubbi (1693-1785), prevosto famoso per le sue guarigioni miracolose. Ci si muove quindi tra due temi di cultura popolare sotterranea dagli antichi rimandi e radici: la Caccia Selvaggia, che in una delle sue innumerevoli declinazioni alpine, e qui nella fattispecie orobica, diventa Cacciamorta, e la figura dai labili contorni "sciamanici" del prete guaritore.
Luoghi certo vicini a un centro importante quale è e fu Zogno, ma proprio per questo enormemente ricchi di testimonianze antropiche nascoste all'ombra della giovane boscaglia che inesorabilmente divora quelli che furono i vecchi pascoli di queste alture. Partendo dalle Tre Fontane di Zogno, una piccola traccia nei pressi della chiesa ci permette di addentrarci tra le pendici della Mughera. Qui, tra vallecole e forre umide, si sale circondati dal muschio di vecchi muri a secco verso Pradonecco, contrada natale del prevosto. Forse questa era la via percorsa dal Rubbi quando andava a dir messa alla chiesa sottostante.
Guardiamo il precipizio che scende sopra le Tre Fontane, dove un viottolo nell'erba alta corre giù come un ragazzo svelto e saldo sulle gambe: un precipizio che è ancora la strada per andare alla chiesa delle Tre Fontane. In questa chiesa il prete Rubbi giovane ha incominciato a dir messa; e forse saliva a Padronecco ogni sera, dove l'orizzonte più vasto e l'aria più limpida, meglio nutrivano il suo animo predestinato.**
Padronecco e i suoi vasti (per quanto tempo ancora?) prati |
Da questo piccolo borgo diparte una mulattiera che porta in alto, verso altre lontane e solitarie contrade, fin su al Sonzogno, meta oggi prevista ma sfortunatamente non raggiunta. Prima però, è d'obbligo una deviazione verso la Mughera e il selvatichetto Pizzo di Zogno, là dove la Cacciamorta imperversava nelle notti invernali, ormai anche per noi imminenti. Seguendo un buon sentiero a nord dell'abitato, ci si addentra nella quintessenza delle prealpi dimenticate. Dall'altra parte della valle sta dimenticato un edificio, visibile nel bosco che si sta denudando in questo pomeriggio di fine Ottobre; la decisione di puntare ad esso è subconscia ma scontata, man mano che ci avviciniamo.
Una minuscola cava di "spolverino" lungo il sentiero. Questo è il colore originario del costruito di questi luoghi |
Stalla dal toponimo sconosciuto in Mughera |
Proseguendo si scavalla un costone percorso dai pali dell'elettricità per portarsi a quello che scende dal Pizzo di Zogno (912 metri). Paurosi dirupi calcarei si spalancano a destra del costone e ospitano contorte (e franose) morfologie rocciose.
Nelle fauci calcaree della Mughera |
Superato il Pizzo, uno splendido esempio di roccolo bergamasco (roccolo di Pice) si adagia su una passata. L'uccellagione era assai praticata in tutta la zona; appare inevitabile ripensare alle implicazioni narrative date dal contrasto apparente tra l'ambiente impervio di queste creste e l'esistenza nei pressi di queste di storiche strutture fisse per la caccia.
Roccolo di Pice |
Dal roccolo di Pice una bella traccia scende, a volte a naso, verso Pernice, altra bella borgata di Zogno, ma prima di prenderla, si può tergiversare proseguendo ancora sul filo di costa verso la zona del Corno dell'Arco, giungendo in breve ad un altro fascinoso appostamento di caccia, racchiuso in un circolo di carpini e betulle che la morente luce autunnale rende quasi fantasmagorico.
Là dove passa la Cacciamorta |
Torniamo sui nostri passi scendendo a Pernice. La bellezza e il carattere di queste contrade sono ben descritte dal Polli:
E una nuova chiara lezione che illustra la vita dei gruppi di case-famiglia sparse sui pendii, come le antiche tribù, con le loro vecchie dimore, le porte basse, i balconi di legno; i prati e i boschi intorno, limiti di una vita passata e di un non dimenticato modo di sostentarsi [...]
Lontani da queste costruzioni, altri gruppi di case-famiglia, vivono sulla loro terra con i nomi antichi e con le stesse sembianze dei progenitori: tutti hanno i loro soprannomi che sono rimasti a distinguere i vari rami e le discendenze meglio dei nomi; il monte di Zogno è tutto organizzato in questo modo.***
Lo stemma dei Sonzogni a Pernice di Zogno |
Dalla Pernice, la vecchia mulattiera riconduce al capoluogo traversando boschi e località che alla fine, tornati al cimitero di Zogno, permettono la comprensione dello stridente contrasto essenziale tra un modo di vivere che si è affermato nell'ultimo mezzo secolo, nei confronti di quello più antico di cui i nostri boschi e le nostre mulattiere sono intrisi. Di botto si è di nuovo nella contemporaneità delle villette modulari e della bruttura anestetizzante connaturata alla "città diffusa". Appena al di fuori di questa, nel buio immobile della notte invernale così come nella calura atroce del meriggio estivo, sulla schiena arsa della Mughera, i sussurri della memoria popolare non smettono oggi di raccontare leggende dal fondo della storia.
Stalla innominata tra Pernice e Pradonecco |
*Polli Vittorio, La piccola patria, Il museo della valle editore, Bergamo 1972
**ibidem, p.34
***ibidem, p.33
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