martedì 20 ottobre 2020

venerdì 6 marzo 2020

Una visita a San Rocco

Una narcotica processione serale lenta risale la mulattiera appena prima dell'imbrunire di maggio: la valle è ricca di selve ed acque rinvigorenti di primavera, nell'aria fresca vibra il profumo degli alberi in fiore. Riacquista forza, l'olezzo silvestre, quando stupefatto incontra quello denso e polveroso dell'incenso retto dal cresimando. Le voci in preghiera si intrecciano come la trama di un tessuto sottile, insieme al canto sommesso del cuculo e del ruscello che scroscia sul fondo ormai buio della valle. Timida occhieggia la giovane rosa canina dai bordi del sentiero; giochi misteriosi di lucciole e il silenzio tutto intorno, portavoce della notte, avvolgono il secolare corteo dei fedeli.
Qual è la meta di questi antichi, domestici pellegrinaggi? Cimiteri minuti  di campagna, edicole votive o santelle solitarie nell'ombra dei boschi o appena fuori dai borghi. Un filo delicato di rosari e orazioni legava i vivi e i morti in quelle lontane sere della tarda primavera. E nel sussulto della bella stagione quasi si annida uno spasmo nascosto, l'ombra scura dietro lo specchio turchese degli alti cieli solstiziali. Il ricordo taciuto delle pestilenze passate, del tempo in cui il passo claudicante della morte udivasi sicuro tra le vie delle contrade, la notte come il giorno, grigio di piaga dilagante ed estremo pianto. Si sa di intere frazioni predate da ogni vita umana, fatti di un tempo inconcepibile, quando anche le campane rimasero mute nelle chiese esauste dalle processioni e dai funerali inarrestabili.



REAZIONE PSICHICA: UN SOGNO RECENTE
Cammino lungo il Sentierone bergamasco, in una sua versione dai connotati medievali, al crepuscolo di una sera d'inverno. Pochi i passanti intorno a me. Mi accorgo che verso il fondo della via, verso Piazza Pontida, nel centro della strada è riverso ordinatamente su decine di barelle di tela e legno un numero imprecisato ma grande di persone morenti, sfigurate spaventosamente dal nuovo morbo che domina la città, e il mondo tutto. Il fumo dei roghi dei cadaveri, vicini e lontani, si diffonde nell'aria mentre cala l'oscurità della notte, assieme ai gemiti dei malati e ai pianti di disperazione dei parenti, che da vicino li assistono. Alcuni di questi, caduti come in estasi psicotica, staccano pezzi di lebbra nerastra e marcescente dai corpi dei loro malati e li mangiano nell'inutile speranza di rendersi immuni al contagio. Mi tengo in disparte. Il senso di terrore collettivo, dell'inesplicabile e inevitabile tragedia di un qualcosa che è andato completamente fuori controllo, avvolge ogni parte dell'atmosfera. Mi allontano da lì in cerca di un luogo sicuro nei borghi della città, luogo che ho la consapevolezza che non troverò.

RITORNO AL PRESENTE
Rimangono oggi dei testimoni ripudiati e dimenticati, le solitarie edicole dei morti della piaga, vetuste custodi delle ossa degli avi, e ricordano al viandante di pregare per loro con le parole chiare dei loro epitaffi.
Le santelle sono i silenti custodi di una saggezza antica e abiurata, consegnate alla rovina dall'incuria del Benessere. Ma ancora in questi giorni sono i Santi e i numi potenti, fatti a pezzi dalla lebbra dell'intonaco corroso, che le proteggono, e che non dimenticano, San Rocco in primis, seguito dal cane, Sant'Antonio Abate e San Sebastiano, San Cristoforo e San Michele... la mano delicata del frescante ci scaraventa per un attimo nel mezzo di quei momenti bui della storia d'Europa.



UN RIVERBERO SECOLARE
Le santelle dedicate ai morti della piaga sono spesso, nell'immaginario alpino popolare, il luogo di partenza o destinazione di spettrali processioni di morti.

Vi furono anche sulle Alpi nel Medioevo Les processions blanches che hanno dovuto lasciare strani ricordi nella fantasia degli alpigiani. Quelle processioni si facevano specialmente quando una calamità colpiva una popolazione. Allora tutti gli abitanti di un villaggio o di una regione intera si coprivano con veli, panni e anche cenci, purché fossero bianchi, e si andavano aggirando in lunghe processioni, implorando il perdono delle loro colpe. [...] e come avviene nella Valle di Susa, anche in Isvizzera i fantasmi vanno con frequenza vicino alle cappelle ed alle chiese rovinate [...]. (1)


Ecco che la peste viene allora portata, a seconda dei luoghi, da una donna di alta statura e  dall'aspetto pauroso, probabile incarnazione oscura della vecchia Perchta, dagli uomini della peste, compagni dei nostri untori, e da altri strani fantasmi dai connotati morbosi, come i fuochi fatui:

Secondo altre leggende svizzere, una Dama bianca chiamata Mara portava la peste da cantone a cantone ed il terribile flagello fu visto dalla gente atterrita come un popolo azzurro che volava sulle fosse recenti, o come fiammelle anche azzurre vaganti sulla superficie dei laghi. (2)



Vada come vada, qualsiasi calamità di questo genere ben si presta a divenire una sorta di "chiave" per la creazione o l'apertura di spazi sotterranei dell'immaginario, in grado di spalancare le porte a forze caotiche, nel segno epocale dell'opera al Nero alchemico, storicamente rigenerante  per via della Distruzione.

1,2: M.S. Lopez, Leggende delle Alpi, Ed. Il Punto 2014.