lunedì 26 dicembre 2011

Analisi

1
un tempo sentivo l'odore del bosco in modo molto diverso. e il sapore del sangue nel freddo imminente dell'inverno, la rivolta giovanile contro la vita, votata alla morte velata dei suoi aspetti più sotterranei.
è passata una bella epoca. la coesistenza con il nulla mi assillava già da tempo... e con essa, il problema del fallo, contrastato dalla ricerca delle lacerazioni immediate del dolore genuino, quello che derivava dalla Lotta.
un rapporto mutato con la mia intelligenza, e forse il progressivo stagnarsi metabolico della mia sensibilità, oltraggiata sicuramente da anni di abusi, hanno sfaldato poi questo stato di cose, come un ciocco di legno sul fuoco che annerisce e si indurisce prima della disgregazione nella cenere.
l'altro giorno in università, preso dai miei pensieri, arrivando in bagno e vedendomi all'improvviso riflesso allo specchio mi sono reso conto di avere anche un corpo. io credo che la dissociazione da me stesso sia un processo legato al mutare delle età.  detesto chi non ha superato la visione materialistica del corpo come chi l'ha superata, in modo più frequentemente fallace. osservare il proprio organismo quale macchina: una masturbazione egoica contraddittoria ma utile se condotta con una certa capacità di non temere sé stessi.
mi ritrovo sull'orlo degli anni ormai passati e in procinto di essere dimenticati, e sento la necessità di arginarmi prima della caduta.

2
ricordo i primi contatti con l'assurdo, poco meno che adolescente, sempre in seno a un esercizio spirituale che faceva della depersonalizzazione il suo metodo più o meno conscio. notti lucide e ormonali, influenzato dalle qualità stranianti della Natura e delle manifestazioni umane. ho sempre letto molto, e di conseguenza tendevo sempre a rivestire il reale di tessuti immaginari. questa è una cosa imprescindibile: l'interpretazione delle cose è marchiata immancabilmente e profondamente dalla propria psicologia. per questo, non credo di essere mai stato grossolano a causa di moti effettivamente originati da una mia volontà. mi è sempre stato connaturato l'istinto di imitazione. il momento determinante, che vivo tutt'ora, è il rendersi conto di come e quanto questo meccanismo agisca nella mia personalità. per me è questo il reale fondo del detto "l'uomo è un animale sociale"...  anche ciò che sto scrivendo in questo momento non è che il risultato di tutto ciò.

3
mi si pone davanti fondamentalmente quella che per la maggior parte dei miei contemporanei non è altro che la possibilità di rimandare sè stessi continuamente a data da destinarsi: la scelta della consapevolezza. è un processo perpetuo, dal quale non ci si può sottrarre. il mio senso dell'abuso di ogni cosa non è contrario ad esso, ma una scappatoia sicura dalla noia. chiariamo che la "consapevolezza" non è una sostanza cognitiva, ma qualcosa che scivola melmosa al di sotto della superficie mentale, percepibile ma raramente afferrabile, un sentimento di mancanza continuo, che si tinge di vari colori a seconda delle situazioni esistenziali (anche negli stati onirici). mi sto raffreddando ed inaridendo via via che avverto il progressivo distacco tra la consapevolezza e le altre parti del mio essere. questo stato di cose non corrisponde a una maggiore lucidità, ma anzi all'opposto, in quanto è il mio "io" ad allontanarsi da essa, come se "io" e "consapevolezza" fossero due enti tra loro sempre più indipendenti e distanti. ed ecco che forse ho svelato anche il segreto della mia temporalità...

4 ai non-lettori
mi rendo conto di scrivere in modo ripetitivo e colloso (e con una punta di saccenza) di cose soggettive e incomprensibili ai più. un giorno, forse, avrò voglia di esplicitarmi meglio a riguardo. purtroppo ho perso il linguaggio da qualche parte, qualche anno fa. il fatto è che tendo a non ingrassarmi di concetti, fisiologicamente: assimilo poco, e il resto finisce nel cesso.

http://www.youtube.com/watch?v=3QoWdrY7zQg

martedì 1 novembre 2011

Chiarimenti per Parenti (e non)

Qualche prematuro appunto ordinatore sul mio approccio all'esistenza.

-Sto cercando di approdare ad una condotta di vita apparentemente scontata nel clima di quest'epoca: quella della scelta.

-Nel regime democratico, la "libera scelta" non è altro che scelta del più facile per la maggior parte degli individui. La mia posizione è un quesito costante sgorgante dalle profondità del mio essere: in questa condizione nulla può essere mai dato e preso in modo sconsiderato.

-Oggi come oggi, mi trascino dietro la mia esistenza come un'appendice della mia coscienza annebbiata dal caos dei miei giorni.

-L'affettività sessuale è per me il carnevale dell'eiaculazione: non pretendo orgie cellulari nè fusioni dello spirito in seno all'onnipotenza della vita. Citando Caraco, un mondo oggi agognabile è un mondo di sodomiti e onanisti, e per ora sono parte integrante della seconda schiera.

-Del resto, sono palesemente contrario al banale manifestarsi della vita umana, laddove questa sia più o meno coscientemente Voluta; e forse questo mia natura si rinviene negli stessi lineamenti della mia carne: è normale quindi che alle donne, e non solo, appaia come un idiota senza anima o una sorta di spettro in vita, e tendano di conseguenza a evitarmi.

-In realtà, schifo anche le puttane: questo perchè tendo ad idealizzare ogni attrazione sessuale attraverso l'immaginazione e l'irreale. L'unica unione sentimentale che posso concepire prevede la totale dissoluzione della mia volontà al di sotto di quella di Lei; l'inevitabilità del sacrificio seminale-spirituale ai piedi della sua selvatica, vitale divinità.

-Il principio della scelta si riflette anche nel mio recente vegetarianesimo. Se le decisioni e le azioni riguardanti la vita e la morte di un animale spettassero solo ed esclusivamente a me (allevamento, abbattimento, macellazione, etc) potrei anche pensare di cibarmi della sua carne. Ciò che detesto è la dimensione industriale, meccanizzata, nascosta che ha assunto l'allevamento di animali "da macello" (o meglio, "macchine da carne") in questo ultimo secolo. Nel mangiare animali oggi non si opera una scelta pienamente consapevole, perchè si scinde l'immagine della carne commestibile in sè dalla fonte orrorifica, disumana della sua provenienza.

-Non ho particolare interesse per ciò che riguarda il mio "futuro" professionale: mi pare che un aspetto della "libertà" di cui gode l'uomo post moderno sia la sua identificazione individuale con il proprio lavoro. Ogni frangente della realizzazione individuale, così come concepita oggi, è volto all'acquisizione di una professione o di un impiego socialmente standardizzato. Un'ottica impiegatizia e "produttivizzante" dell'esistenza che preferirei non avere tra i piedi.  Le masse universitarie accampano troppe fastidiose pretese di "crescita" (la prospettiva non cambia) personale e non, per il futuro. Ma l'unica cosa che rimane da augurarsi a mio avviso è la decrescita, in ogni senso.

-L'azione massificante del denaro si muove e trae forza dal Sociale; la mia unica risposta e aspirazione si trova nella spiritualità soggettiva. Non so se e per quali vie questa si potrà manifestare. La vicinanza con la morte è inevitabile. Bisogna scegliere tra questa e la noia dell'eccesso di vita che si subisce ogni giorno, soggettivamente e non.

domenica 9 ottobre 2011

Cospirazioni - in risposta a R.

L'essere immersi in una data epoca fa sì che individualmente la propria manifestazione esistenziale si strutturi su ogni livello (o quasi...) attraverso le modalità insite al momento storico stesso. Questo comporta il fatto che ciclicamente si vadano a ricreare, seguendo diverse possibilità, gli stessi apparati sovra-sociali (intendendo come "società" il senso più basso delle relazioni che si vanno a instaurare tra gli indvidui).
Il nostro tempo, la cui immagine si configura sempre più come quella di una sorta di tecno-termitaio inumano e pullulante, ha visto aprirsi dinanzi all'uomo la voragine del nulla e della totale dissoluzione del senso. Questa reazione epocale è causata da un insieme vario di fattori storici e culturali che si situano ben al di là delle poche centinaia di anni che ci separano dai movimenti rivoluzionari e popolari della fine del Settecento, e che personalmente vorrei arrivare prima o poi a comprendere nella loro totalità. Da questo punto di vista, ovvero quello miope datoci dalla nostra frammentata "realtà" esistenziale d'oggi, ha pienamente ragione chi suppone che lo stato di cose entro cui rimane isolato l'individuo-merce odierno possa apparire come una cosa voluta e pianificata da una qualche misteriosa presenza al di sopra degli schemi "normali" dei poteri civili e politici, e in grado di decidere le sorti della storia. Ma il problema è appunto che tale visione è indissolubilmente correlata agli apparati-base dei sembianti culturali e sociali che ci compenetrano dal momento in cui mettiamo volenti o nolenti piede su questo pianeta in questa data epoca storica. Rimanerne vincolati è la cosa più logica, "normale", soprattutto perchè per sfuggire ad essa si rende necessario, oggi, un lavoro spirituale autonomamente "contro" alla sua stessa natura, lavoro immenso e quanto mai distruttivo per l'individualità-merce che oggi si è. Una urgenza avvertita da pochi, e portata alle sue estreme conseguenze da quasi nessuno.

Tornando alla Cospirazione, in poche parole credo che l'abisso soggettivo che pone oggi l'uomo davanti alla prospettiva della propria morte delinei i contorni, in assenza di altre possibilità più tradizionalmente definibili come affini alla sfera dell'ignoto, di una entità bene o male definita (come lo è tutta la mitologia della cospirazione), ma comunque CONOSCIBILE, che si assuma questa responsabilità omicida nei confronti del singolo e della collettività (chemtrails, vaccini, haarp,etc...). L'insieme dei nostri terrori ancestrali prende forma quindi negli aspetti più oscuri e nascosti della tecnologia e della scienza, che da servitrici dell'uomo divengono sue torturatrici dai meccanismi incomprensibili. Come linea di condotta generale, si tratta di non confondere la causalità storica con le fantasie pseudo fantascientifiche su base cospirazionista le quali essendo appunto più facili, hanno ovviamente molto più seguito tra le masse dei "contro informatori" e dei paladini quanto mai disprezzabili del "libero pensiero", della "vera democrazia" etc che si assumono l'epica responsabilità di affrontare le "forze del male" di quest'era per liberare l'uomo dalla sua schiavitù e così via. Colgo l'occasione per ribadire il mio totale assenso, tra l'altro, verso una politica anche nascosta che punti alla riduzione della popolazione e dell'incremento demografico. Sul perché di questa posizione non credo sia necessario dilungarmi.

mercoledì 28 settembre 2011

Qualcosa sul Viaggio

Ricercare la "nuova prospettiva culturale", il diverso e il nuovo tramite il viaggiare, nel momento in cui ciò significa l'assistere o ancora peggio il partecipare ai deja-vu delle relazioni sociali che in tale occasione si verranno a creare, mi pare assai infantile e superfluo. Questo per il fatto che ciò a cui si va incontro non è altro che una "diversità" esistenziale fasulla, celata da sembianti sociali che oggi si possono ritrovare identici, sotto false spoglie, ai quattro angoli del globo. L'alterità inquietante dello Straniero è scomparsa tra le mascherate della "multiculturalità" il cui fondo assoluto è il medesimo nulla. Il viaggio si muta quindi anch'esso in una droga che possa in qualche misura arginare il dilagare del non senso nell'esistenza individuale.

Comprendo in effetti la possibile utilità di un viaggio volto alla ricerca di atmosfere e intuizioni che non siano immediatamente accessibili alla quotidianità di un ipotetico insoddisfatto; ma non condivido ciò quando queste si connotano di tratti "troppo umani", di malcelate necessità di affetti, calore umano, etc.
Da questo punto di vista, il viaggio lo giustifico oggi qualora si presenti come una forma di esteriorizzazione di esigenze interiori più o meno coscienti, ma che abbiano sempre dei punti in contatto con il centro fondamentale del sè, che sempre spinge verso l'oltre in ogni direzione possibile, spiritualmente parlando; e non è viaggiando fisicamente che questo movimento si manifesta, se prima non ci si è denudati profondamente dinanzi a sè stessi.
Il viaggio come confino, esilio, ascesi.

Non ci può essere "ricerca spirituale" nel viaggio "sociale", perchè nella nostra epoca ogni approccio in questo senso è già dato nell'esistenza di ogni giorno e nei suoi modi di ramificarsi nell'io attraverso i mezzi che le sono propri; e l'incontro (o scontro) con l'Altro viene evitato, o meglio deviato, tramite le costruzioni mentali e culturali contemporanee, sfilacciate e massificanti. Anche il viaggio diviene prodotto di consumo, e nulla di più.

L'unico viaggiare che personalmente apprezzo è quello in grado in qualche modo di mettere alla prova il fondo reale delle proprie possibilità, e in questo senso fondamentale è la solitudine, sia del viaggiatore che della suo percorso e della sua destinazione. Essere fuori dall'umano per delinearsi nel proprio essere "realmente" umani: questo non significa necessariamente affrontare un regime militaresco di tappe forzate nel mezzo della tundra ghiacciata; ma ad esempio il portarsi al di là dei propri terrori anche nel bosco fuori casa, la notte, o il sopportare la fatica, il freddo e la solitudine dell'alta montagna, per scoprire reazioni sconosciute del proprio essere, che nel regime di piattezza metabolica e tecnologica attuale ci sono precluse.

Naturalmente non condanno la pigrizia, che come tutti gli altri caratteri umani (avidità, empatia, omosessualità, alcolismo, daltonismo...) è soggettiva. Bisognerebbe però testare su di sè questo genere di possibilità prima di escluderne l'efficacia psicofisica-spirituale a priori. Così come non ho dubbi, del resto, che non sia necessario testare il viaggio "sociale" delineato sopra per constatarne l'inutilità ai fini di una vera ricerca spirituale soggettiva, la quale sola, per ora, mi pare in grado di rendere la vita vivibile ai pochi che ne avvertono il richiamo pulsante, continuo e incessante nel proprio trascinarsi quotidiano.

domenica 4 settembre 2011

frammenti onirici-4

Riporto il seguente sogno così come l'ho fissato su carta non appena sveglio, non avendo voglia di rielaborare tutto. Mi pare sia di una notte di tarda primavera o inizio estate.

...
anche questa mattina un sogno lungo, faticoso, articolato ed enorme. Riflettendoci a posteriori, conscio comunque della poca affidabilità di questo approccio, pare, quest'ultimo sogno, una specie di metafora di alcune cose -mente,subconscio,legami sociali- che mutano a livello esistenziale con il passare degli anni.
O forse è il caso di cominciare a usare delle Bdz.
Il punto d'avvio che ricordo (in realtà alcuni frammenti onirici mi ricordano che questo è BEN prima, e che tra le altre cose avevo affrontato un viaggio via mare con un/una bambino/a) riguarda il mio arrivo in una specie di casa coloniale nel mezzo di un deserto, pare quasi della zona del New Mexico o dell'Arizona, o forse più a sud. Io sono una donna, la padrona o la custode di questo edificio. Sia chiaro che sì sono una donna, ma non la "incarno bene" così come invece io, con il mio corpo (che comunque rare volte vedo nei miei sogni) posso controllare, non a livello di sogno lucido, ciò che faccio. Quindi io sono questa donna che vedo agire in terza persona e della quale "ascolto" le intenzioni, intuendone i pensieri.
So di essere al sicuro in quella casa, e che devo custodire una cosa strana che si trova nella stanza più grande e antica dell'edificio: si tratta di un grande cubo di pietra nera (ossidiana?) che emana una incerta luce viola... passo così dei giorni di relativa tranquillità, sola in questa casa (succede qualcosa ma non ricordo bene cosa).

L'arrivo dei turisti
Poi un giorno dal terrazzo vedo avvicinarsi in lontananza al mio edificio, dal deserto assolato, molte persone. Ho paura, credo che qualcuno mi abbia scoperto e stia venendo a prendermi, anche se non so chi o cosa di preciso. Scendo di corsa le scale per andare a chiudere il portone di ingresso, ma è troppo tardi: i turisti sono entrati nel giardino e fanno foto, parlano tra loro etc (classiche attività da turista). Non posso fermarli perchè desterei sospetti, così decido di rimanere loro appresso per controllare come si muovono e cosa fanno. Ma intanto si sono moltiplicati, e con orrore vedo che stanno raggiungendo il piano superiore, laddove si trova il cubo di ossidiana. Corro su per le scale per raggiungerli, e mentre salgo mi accorgo per la prima volta che c'è "qualcosa" che mi sta osservando dall'esterno, muto ma ben presente, tangibile. Questa sensazione,da qui in avanti, si gonfierà sempre più all'inverosimile, di pari passo con la crescita innaturale e labirintica dell'edificio.
I turisti sono riusciti ad entrare nella "stanza proibita" ma in qualche modo riesco a sviare la loro attenzione. Infine finalmente se ne vanno, e rimango di nuovo immersa nella straniante solitudine della casa.

Osservata
Passa ancora del tempo onirico. Progressivamente, mi accorgo che c'è qualcosa che non va: girando per la casa avvolta dal silenzio, scopro stanze che precedentemente non esistevano, mentre quelle che dall'inizio della mia permanenza c'erano già mutano, a volte improvvisamente, a vote impercettibilmente, la loro architettura. La cosa comune a tutte queste alterazioni è che il materiale con cui sono "costruite" è sempre lo stesso: piastrelle bianche, lucide, da ospedale, e vetri tendenti al blu scuro. La parte antica dell'edificio rimane sempre la stessa, ma col passare dei giorni queste "protesi" architettoniche si moltiplicano in modo ossessivo e differenziato, mentre onnipresente è la sensazione di essere osservata, fino a quando dalla paura di essere diventata folle decido di fuggire dalla casa.
Qui c'è un vuoto mentale: all'improvviso io non sono più la donna-custode, la quale tra l'altro aveva una sua precisa fisionomia,che ora come ora potrei ritrarre se ne fossi in grado, e che nella "realtà" di tutti i giorni non ho mai visto. Vedo che tenta di fuggire dall'edificio, ma non saprò mai se il suo tentativo andrà a buon fine.

Piastrelle bianche, vetri blu
Cambia la scena. Tra questa e quella precedente (la fuga della custode) ve ne sono altre, ma i ricordi che ho sono assai indistinti.
Sono io, nei miei panni e nella mia persona. Attorno a me altra gente. Sono lì da tempo, non ricordo bene quanto. Mi trovo in una specie di enorme scantinato scarsamente illuminato. Le pareti povere sono stuccate male, e grandi tubi di ferro (riscaldamento?) attraversano il soffitto. Gli altri lì con me sono tutti ragazzi e bambini. Decido di fare un giro, e qui ho un altro vuoto mentale: so che esploro la zona a lungo, verso i piani inferiori, vedo altri scantinati, dei garage, ma non trovo mai alcuna uscita verso l'esterno della struttura.
Passa altro tempo. Poi mi dirigo ai piani superiori: salendo, la qualità strutturale degli ambienti migliora, e noto che tutto è fatto a piastrelle bianche e vetrate blu... finalmente, in alto, trovo una finestra. Fuori è il tramonto. Mi coglie una sensazione di oppressione, sento che volenti o no, all'interno di quell'edificio siamo tutti controllati. Sembra una scuola. Voglio fumare una sigaretta: trovo un terrazzo, ed esco. E' ampio, il pavimento di piastrelle bianche ora infuocate alla luce del tramonto. Mi avvicino alla balaustra e mi guardo intorno: sono in alto, davvero in alto; intorno a me vedo lo stesso deserto di anni prima, con il sole calante. Osservo il resto dell'edificio e rimango inquietato: è ciclopico, sotto di me, dappertutto, si estendono le sue strutture bianche, vaste e circolari ma sempre uniformi e regolari, per chilometri e chilometri. Rabbrividisco pensando a quanta gente deve ospitare, ormai, e guardando in basso scorgo, in un parcheggio, una figura minuscola. Allora mi torna chiara alla mente la donna-custode originaria di questa mostruosità architettonica. Comincio ad intuire che l'edificio cresce nutrendosi delle sensazioni "pesanti" di disagio, ossessione, paranoia etc che produce in coloro che ospita. Torno allo scantinato- dormitorio, trovo una tizia,e le chiedo se sa qualcosa della precedente custode (che ero io...). Lei risponde che è morta da almeno quindici anni... Io non posso crederci: non pensavo di essere lì da così tanto tempo, ma al massimo da un lustro. Lei mi indica i muri scrostati circostanti, e mi dice sottovoce che è l'edificio che funziona così... Riaffiorano quindi dei ricordi... da qualche parte, la zona antica, originaria della struttura, con il suo misterioso monolite nero, dovrebbe essere rimasta intatta. Se solo riuscissi a raggiungerla, potrei svelare il segreto di tutto questo...
Ma mi sveglio.

sabato 30 luglio 2011

La vergine della grotta

Il mio suono è un suono sfatto, reduce di vecchie ebbrezze, esausto e ripetitivo, dai toni bui, di un bruno scuro e profondo.

L'oro solare cola dalle fronde del carpino nero all'interno della grotta mentre scrivo del mio suono, privato d'ogni ritmo. L'urlo rauco di un cinghiale riecheggia lontano nella valle boscosa. Subito mi attraversa un odore selvatico, primordiale di radici, pelo ispido, sangue e sperma.Quanto vorrei che fosse il mio suono la guida, la traccia invisibile dei miei metamorfici possibili, e non l'opposto. Vivrei allora in funzione di un'arte, intuirei un significato che non sia incrostazione di altri significati. Ma la catena del senso mi ha in odio, ed io schifo i suoi anelli di carne umana. Fuori dalla grotta il suono della pioggia e la luce del sole d'estate.

Trovo quindi i miei suoni, come un naufrago, tra ondate ubriache, perché libero allora dai legami con l'Altro. Libero e debole, l'assoluta libertà sconfinando nella follia, senza meta né centro, a brandelli sul vuoto di ogni cosa. È uno stato di mezzo, bisogna rendersene conto. L'era della lotta solitaria; gli anni oscuri dell'esilio. Vorrei fare del suono un'arma: vivendo e scontrandosi con l'essere, si tingerebbe dell'opaca trasparenza del solve alchemico: lo vibrerei nell'atto cruciale della mia trascendenza istantanea. Credo che nessun fine sarebbe più nobile di questo, per il mio suono.Non si parla di arte, ma di vita e di morte. Che le leggi della prostituzione spirituale, fulgidi bagliori della decomposizione di quest'epoca, non ne intacchino il suo ingiudicabile sentire; che possa vibrare negli stati luminosi e furenti di una qualche tragicomica ispirazione, così come nel mezzo delle putrefazioni inevitabili dell'essere, che attendono da anni sulla soglia della mia persona. Avanti, allora! Che il buio mi avvolga affinché nessuno mi scorga, mentre sradico il giudizio nella cecità di passato e futuro. Che io possa giurarmi fedeltà e tradirmi cento volte durante il coito inconsistente del tempo, ma mai nell'ultimo estremo confine terrificante di me stesso.


IL PROBLEMA DELL'ARTE

OSSIA l'arte si è stratificata nell'uomo: non bado a superamenti o dualità di sorta, quanto appunto alla questione della trascendenza. Dal coacervo banale, sconfinato e prevedibile dei possibili umani l'arte ha tratto le proprie fondamenta; e ci è stata preclusa la sua forza dirompente e tenebrosa, la sua capacità di intuire e sfiorare l'estremo al di là della morte. Era la musica rituale dei tamburi nella notte, la pittura mistica delle grotte sotterranee che favoriva i cacciatori nei loro compiti, il suono innominabile della parola sacra urlata dal sacerdote in preda ad ebbrezze non più di questo mondo. La vita si è data al tutto e così l'arte divenne prostituzione. I meccanismi di un'arte che oggi cerca di tornare alla propria natura, dopo millenni di asservimento all'uomo, paiono macchinosi, e ovviamente incollati ai residui mentali individuali... ma in ogni caso,coscientemente o meno, il punto d'arrivo è teoricamente il medesimo: l'assoluto trascendente, conosciuto in quest'epoca come NULLA.

Anche la “forma” e l'”informe” mi sembrano giustificabili solo in questo senso.Ovviamente parlando d'arte, non di puttane.

(dipinto di Dim Sampaio)


giovedì 21 luglio 2011

frammenti onirici-3

Un sogno di qualche tempo fa.


Mi trovo in una vecchia città da qualche parte del nord Europa, credo nei primi anni del XX secolo. Vivo in una antica e piccola stanza poco illuminata, nelle immediate vicinanze della piazza cittadina, che è anch'essa di piccole dimensioni, stretta da un cerchio di alte abitazioni dalla tipica architettura di stile nordico. È inverno, ma c'è poca neve: si può avvertire la forte sensazione dell'oscurità calante verso sera, anche a causa del fatto che la luce elettrica dei lampioni non è ancora diffusa tra le strade principali della cittadina. Sono un universitario o comunque uno studente . Vengo a conoscenza tramite voci che girano tra amici dell'esistenza di una particolare bottega di giocattoli, ma soprattutto di marionette e burattini, tenuta da un bizzarro e sconosciuto giovane studente dell'università. Non ricordo se giravano strane voci riguardo, ma mi pare di no (ho avuto una specie di flashback improvviso sulle bambole e i burattini e sull'estrema solitudine di questo tizio; in qualche modo sapevo che egli vedeva nei suoi giocattoli tutto il suo mondo. In particolare, mi parve che una delle sue bambole, raffigurante un ragazzino ariano, gli sorridesse, ma non ci feci molto caso). Decido allora, insieme a tre miei amici, di andare a visitare la bottega. Li incontro fuori dalla mia casa, in pieno centro cittadino. È un tardo pomeriggio in pieno inverno, la luce in calo è grigio sporca; si può sentire l'odore di combustibile bruciato provenire dai camini delle case. La bottega si trova poco oltre la piazza cittadina, nei pressi di un vicolo stretto e buio, ed è piuttosto nascosta. È situata in un vecchio seminterrato, e per accedervi bisogna scendere una scaletta che lascia intravedere in fondo l'entrata del negozio. Mentre scendiamo, posso osservare all'interno il giovane commesso comportarsi in modo piuttosto strano (parla da solo e gioca con dei modellini di navi e velieri). Nel momento in cui entriamo in qualche modo sappiamo già che qualcosa non funziona. L'atmosfera è statica e carica allo stesso tempo. Il giovane commesso, biondo, riccioluto e occhialuto, inizialmente non profferisce parola, né ci guarda. Poi inizia a intimarci di fare delle cose. Mi assale un senso di urgenza. A due dei miei amici ordina di chiudere a chiave le porte d'accesso alla bottega, che sono due: una è quella dalla quale siamo entrati, l'altra dà sul retro del negozio e porta direttamente al vicolo nero e malsano sul quale è situato. Al terzo mio amico ordina di avviarsi al piano superiore dell'abitazione e di attendere lì. Tutti loro ubbidiscono: è ormai chiaro che il commesso detiene un potere pauroso che forzatamente ci sottomette, mentre dalle mensole della bottega le bambole, le marionette e i burattini ci osservano, vuoti e artificiali. Il bottegaio si rivolge poi a me, mi ordina di spogliarmi e di prepararmi a subire cinque operazioni chirurgiche, nella cui esecuzione sarà aiutato dalle sue piccole creature. Mi pervade un terrore cieco mentre intorno a me le marionette e tutto il resto prendono vita e mi afferrano: arrivano dappertutto e sono talmente impaurito che chiudo gli occhi per non vedere cosa stia per accadere. Inoltre sono fortissime: posso sentire la loro morsa meccanica serrarmi le membra mentre mi trascinano inesorabilmente verso il commesso. Finalmente comincio ad opporre una resistenza disperata, anche se il terrore mi toglie la forza, e riesco dopo sforzi immani a liberare una gamba e un braccio, e infine tutto il corpo. Mi precipito verso l'uscita secondaria del negozio: gli altri due amici rimasti con me decidono anch'essi di tentare la fuga, e comincia una fase concitata. Il burattinaio si incazza e fa accorrere dal piano superiore (l'amico che era rimasto là ben se ne accorge, dato che comincia a urlare in preda all'orrore) le sue “marionette umane”, che io non vedo ma che so essere orribili parti anatomiche di uomini assemblate in modo molto macabro tra loro e in grado di muoversi (simili alle bambole di Bellmer in versione “reale”). La consapevolezza del fatto che quelle cose, dal piano di sopra, si stiano avvicinando, mi impaurisce assai. Non scorgo più i miei amici mentre in qualche modo riesco ad accedere precipitosamente al retro del negozio, ma sento il terrore nella voce di uno di loro che urla rivolto alle cose che stavano arrivando qualcosa di correlato al fatto che li avesse identificati quali “cacodemoni”. La natura demoniaca di tutto quell'affare mi fa cagare ancora più addosso. Ho una fugace visione mentale di una creatura una volta umana in un corridoio buio, a cui è stata sostituita la parte superiore del corpo con delle altre gambe maschili attaccate al contrario... ecco a cosa si riferiva il bottegaio riguardo le operazioni che io, come gli altri, avremmo dovuto subire... ma non vedo comunque in prima persona nessuna di queste creature, pur consapevole del fatto che ne abbia almeno un paio alle calcagna.

Infine riesco a mettermi in salvo e a tornare tra le strade ormai buie della vecchia cittadina. Comincia a nevischiare. Sono conscio non so come della sopravvivenza dei miei amici, anche se non li vedo. Torno nel mio piccolo monolocale illuminato da una candela e ripenso al bottegaio solitario che gioca e parla con le sue bambole, giù nel seminterrato del suo negozio.

lunedì 4 luglio 2011

frammenti onirici-2 /sogno lucido e un astrale

Una notte estiva, tra i molti svantaggi che reca, ha dalla sua il caldo, che sfavorisce sonni particolarmente profondi (e riposanti). È quindi molto più semplice fare esperienze quali i sogni lucidi, poiché il livello di veglia cosciente rimane piuttosto elevato. La prima sera di Luglio di quest'anno è stata infatti piuttosto densa; un lungo sogno cospirazionista a sfondo esoterico di cui dico solo che coinvolgeva istituzioni quali le scuole e gli ospedali (nei sotterranei di questi ultimi si operavano riti di una terribile depravazione). Più interessante il sogno lucido: perlopiù non interamente cosciente, ma quasi. Svolazzavo per una grande città, e mi sono ritrovato su un grande edificio simile a una scuola. Era costruito in cemento e pietra grigia, architettonicamente simile a costruzioni della fine del XIX secolo. Non sapendo cosa fare, ho prima materializzato una “professoressa ideale” (chi ha orecchie per intendere...) con la quale ho cercato di avere un rapporto sessuale che è però quasi subito sfumato (ho intuito che proseguendolo avrei rischiato di svegliarmi attaccato in modo equivoco al materasso...). Successivamente, in piedi sul tetto della struttura, ho iniziato ad ingrandirla, aggiungendo complessi architettonici simili, dalle cui vetrate vecchie e sporche si potevano intravedere gli interni avvolti da una scura penombra, da pomeriggio invernale, aule, corridoi etc, completamente vuoti e silenziosi. Potevo sentire un senso di isolamento buio e di cose dimenticate fuori dal tempo provenire da questi interni. Rendendomi poi improvvisamente conto che essendo all'interno del sogno potevo ricordare ancora perfettamente il contenuto del sogno cospirazionista che ho citato all'inizio, e che si era svolto prima di essere entrato nel lucido, ho deciso di creare una mia copia identica con la quale dialogare, che in qualche modo avrebbe dovuto funzionare come una materializzazione onirica della mia memoria fisica; una volta creata, cominciai a narrarle(-mi) a chiare lettere ciò che era successo fino a quel momento, in modo che una volta sveglio “magicamente” mi sarei ricordato tutto alla perfezione, almeno in teoria. Ovviamente non ha funzionato appieno, poiché c'erano semplicemente troppe cose da narrare alla copia, quindi anche questa catena di eventi è sfumata. Inoltre non si parla di contenuti interamente mnemonico-mentali, ma anche di atti di coscienza. Non è semplice come dare un resoconto di avvenimenti avvenuti nella realtà quotidiana.
Dopo tutto ciò, ho provato ad entrare in astrale. Esperienza divertente, anche se condotta non al meglio. Ero intrappolato nel mio sogno lucido, incerto su come raggiungere il piano astrale da quella condizione. Allora ho ricominciato a volare in giro, stando attento a non alzarmi troppo dal livello del terreno (perché facendolo rischiavo di farmi prendere dalla paura dell'altezza, e di perdere conseguentemente il controllo del sogno). Allora ho intuito che probabilmente sarebbe successo qualcosa se avessi provato ad acquisire una “velocità di volo” sempre maggiore (sembra una puntata di Dragon ball, ma è proprio così). Ho iniziato. Aumentavo di velocità vertiginosamente, e dopo un po' ho cominciato a vedere intorno a me quelle vorticanti e fumose energie tipiche dei miei stati ipnagogici. Ho avuto un momento di esitazione , dovuto alla possibilità che perdessi il controllo dell'operazione, che ho superato regolando ritmicamente la respirazione, anche se in modo un po' convulso. All'improvviso mi sono ritrovato letteralmente sparato fuori dal corpo, spinto contro il muro del soffitto che vedevo chiaramente a poca distanza da me, con il battito del cuore a mille. Ho fatto appena a tempo a riuscire a girare lo “sguardo” dietro di me, e ho visto il mio corpo sul letto, di sotto. Agitatissimo, mi sono risvegliato subito. Tutti questi ultimi istanti si sono succeduti in maniera oltremodo concitata e rapida, per qui non ho avuto la coscienza completamente salda per tutta la breve durata dell'esperienza, rivelatasi comunque piuttosto istruttiva.

domenica 26 giugno 2011

Sui Tattwa



Vayu: aria, un cerchio azzurro

Apas: acqua, una mezzaluna argentea

Agni o Tejas: fuoco, un triangolo rosso

Prithivi: terra, un quadrato giallo

Akasa: etere (spirito), un ovoide nero


Segni archetipici della tradizione mistica indiana, vengono utilizzati, tra le altre cose, quali vere e proprie “porte astrali” da alcuni gruppi esoterici occidentali. Sono infatti note le esperienze di alcuni membri di spicco (nell'ambito quasi “alla moda” tipico delle esperienze esotiche ed esoteriche tra otto e novecento) della Golden Dawn, come Machen o Yeats, il quale riporta una visione avuta applicandosi sulla fronte, penso durante una meditazione o un cerimoniale riguardante i piani astrali, l'immagine di Agni: una sorta di grande paesaggio desertico con delle rovine e un titano che si ergeva tra esse. Mac Gregor Mathers fa immaginare sul muro dinanzi al quale si sta meditando una proiezione mentale di uno dei Tattwa , che ingrandendosi diviene una porta attraverso la quale far passare la propria coscienza. Il luogo in cui si andrà a finire avrà delle corrispondenze attinenti al simbolo utilizzato (nel caso di Yeats, il Tattwa del fuoco ha “generato” il deserto).

Personalmente tendo a intuire questi segni come simbolizzazioni di aspetti vibratori generali di ciò che va a comporre l'universo, che permettono di legare il proprio corpo astrale ad essi tramite la comunanza di “frequenze” la quale si verrebbe a creare durante la pratica; alla stregua di segnavia energetici che direzionerebbero in un certo senso il corpo sottile durante lo sdoppiamento.

Crowley scrive, in questo senso, riguardo i diversi piani raggiungibili (oltre che della loro presunta “realtà”) quasi fossero “stratificazioni astrali” dei vari possibili simbolici umani, assimilabili quasi a un inconscio collettivo magico. I Tattwa si porrebbero allora tra le chiavi di accesso ai piani elementali di base, ai loro intrecci e interazioni: è consigliata infatti anche la pratica di combinare tra loro i differenti simboli per crearne altri che rispecchino le diverse qualità del reale (in totale si hanno venticinque combinazioni di Tattwa; un esempio: unendo Apas con Agni si ottiene l'aspetto calorico dell'acqua; la combinazione Vayu-Apas sente l'aspetto umido dell'aria, e così via).

Nel Liber E Vel Exercitorium , appendice a Magick, i Tattwa sono impiegati come appoggi utili alla fase meditativa di Dharana. L'immedesimazione elementale mi sembra un buon metodo: si consiglia di disegnare su cartoncini di media grandezza i simboli in questione, sceglierne uno da porre dinanzi alla propria visuale durante la pratica, e man mano formarsene un' immagine mentale stabile e preponderante, riconoscendolo progressivamente come parte integrante del sé: immaginarsi avvolti dalle fiamme e dal calore più bruciante utilizzando Agni, divenire il sangue bollente, denso e pulsante delle rocce quale è la lava nel caso dell'unione tra Agni e Prithivi, etc. Un artificio che fa dell'immaginazione una delle sue componenti fondamentali, quindi. In questo senso si può capire anche cosa significhino, nell'ambito della magia cerimoniale, le prove che si raccomanda che vengano superate dall'adepto che intenda procedere all'evocazione degli spiriti elementali: per dominare l'elemento fuoco, ad esempio, occorre sfidare le fiamme di un incendio; per poter contattare gli spiriti dell'aria, bisogna scalare montagne e superare precipizi. Per garantire il successo diviene necessaria la totale immedesimazione nell'elemento, la quale fa da “solvente dell'ego” di natura comunque sempre mentale.

(immagini tratte da dipinti di Austin Osman Spare)

giovedì 16 giugno 2011

Caduta nella vita


Forme pensiero cristallizzatesi nel reale, attraverso la compulsiva ripetizione di atti che mettono in moto forze invisibili e inconsistenti ma in grado di addensarsi pesantemente ai bordi dell'esistenza di chi o cosa è coinvolto in questo meccanismo. E' questo il versante oscuro delle pratiche apotropaiche e delle maledizioni? Un esempio banale, intriso di vergogna: è possibile che una fantasia sessuale ossessiva solidifichi il proprio immaginario nella vita di tutti i giorni attraverso il sacrificio costante di parti innominabili del sè? Dove va a finire tutta quell'energia autodistruttiva?
La mia mente è una palude i cui miasmi notturni fanno da flebile guida ai pensieri smarriti degli Altri verso la mia realtà. Ma non è così per tutti?
E l'odore dei millenni, le suggestioni più inafferrabili, l'angoscia sfuggente del sole del mattino, la demenza terminale dei linguaggi... fuochi fatui appena scorti tra le ombre della sera.
Le alterità finitamente possibili della natura fanno i loro giochi su questa fitta rete di sensazioni fluide e al limite dell'intuizione, ma sempre comunque pervasive?
Sicuramente il loro limite ultimo e necessario, ormai, non si trova più nella semplicità estraniante della carne...

mercoledì 15 giugno 2011

frammenti onirici-1

Paesaggio nordico, in inverno, una antica rocca posta su un dirupo roccioso, nero e spazzato dal vento.
La gerarchia nazista ha scelto quest'ultima sede prima della fine della guerra irrimediabilmente persa.
Lusso nei grandi saloni all'interno, ma è uno sfarzo fatiscente, di ideali in decadenza, di brindisi funerari alla vecchia Europa.
Sono uno dei primi servitori-lacchè che lavorano nel castello per i gerarchi, e mi aggiro tra gli spazi semibui, raramente illuminati a luce elettrica, eseguendo compiti vari al baluginio delle candele. Intorno a me sento qualche risata lontana, e parole in tedesco echeggiano tra le mura. Intravedo mentalmente la figura spettrale del Fuhrer intento a dare ordini da qualche parte nel maniero, uomo perso e vuoto, gli si legge ormai la morte in faccia.
Mi occupo dei preparativi di un concerto lirico che si svolgerà la sera in una sorta di salone-teatro, adorno di velluti rossi e cordoni dorati che rilucono debolmente tra le ombre più dense degli angoli del proscenio... andrà bene, a noi servitori di "alto grado",perchè durante il concerto potremo sederci tra i primi posti della platea, insieme ai gerarchi invitati con le loro famiglie...
Esco dal salone e mi avvio su per delle strette scale di pietra che conducono chissà dove. Da una grande finestra osservo fuori, silenzioso: la sera sta calando mentre comincia a nevicare...

lunedì 13 giugno 2011

Un sogno cospirazionista

per la serie delle masturbazioni oniriche fini a sé stesse, trascrivo un lungo sogno di qualche tempo fa. Riguarda alieni, fine del mondo, nuovo ordine mondiale etc. vi sono alcuni buchi nella narrazione dovuti a vuoti di memoria, e frammenti di sensazioni lontane che non è possibile descrivere se non attraverso fugaci sprazzi di visioni sensoriali tipiche dei meccanismi dei miei sogni. La scrittura è in “presa diretta”, fatta cioè appena sveglio. Quindi farà più schifo del normale.

“buona lettura”.


Molti prodigi nei giorni precedenti il grande Controllo: improvvise esplosioni invisibili nel cielo, miraggi lontani di città devastate da decine di atomiche, “allucinazioni energetiche” coinvolgenti i vivi e i morti.

Alla fine ti fanno credere di essere in guerra contro un nemico imprecisato, le cui armi mai prima di allora si erano viste.

Siamo nella grande stanza di un alto edificio di una grande città, dalle ampie vetrate delle pareti si vedono le strade e le costruzioni sotto di noi. È una bella giornata limpida e soleggiata, fuori. Con me ci sono i miei famigliari e intorno a noi, nell'ampia sala, altre persone e famiglie. Parlando con i miei parenti riguardo le strane deflagrazioni invisibili nel cielo che in quei giorni avvenivano in diverse parti del mondo, mi sovviene che queste potrebbero essere il frutto di tecnologie aliene: non faccio tempo a dirlo che siamo attaccati. Questo nemico ignoto ci attacca con armi dall'apparenza inquietante e pericolosa, ma pare non abbia intenzione (questa è una mia intuizione istintiva) di provocare morti tra noi civili. Si trattava di moduli volanti automatici dalla foggia strana, quasi come piccoli satelliti iper-tecnologici, in grado di assumere velocità incredibili emettendo stridii e ronzii acutissimi e potenti che avevano l'effetto di terrorizzarci ancora di più; questi sfondavano man mano le vetrate della stanza entrando per darci la caccia. Tra il fuggi fuggi generale perdo di vista la mia famiglia. Cerco allora di nascondermi e ripararmi dietro protezioni improvvisate (armadi,poltrone, sedie) ma alla fine noto che dall'altra parte della stanza qualcuno mette le mani dietro la testa come per arrendersi, e gli strani moduli si fermano all'improvviso, cessando le loro grida metalliche. Tutti i presenti nella stanza, me compreso, fanno la stessa cosa e l'attacco pare cessare. Nel disordine generale compaiono dei soldati in una divisa mai vista , i quali ci intimano di seguirli fuori dall'edificio. Dalla terrazza vedo che in altri edifici situati in altre zone della città sta avvenendo la stessa cosa. La popolazione viene così radunata man mano appena fuori dalla città, in un vasto spazio collinare con grandi prati verdi. Vi sono svariate migliaia di persone, e vari drappelli di quelle guardie dalla strana uniforme che tengono sott'occhio la situazione, per assicurarsi che nessuno fugga. In quel momento capisco cosa sta succedendo. Prima di annunciare l'effettivo arrivo degli alieni sulla terra, le autorità vogliono impiantare il chip di controllo a tutti i cittadini facenti parte del nuovo ordine mondiale. Mi guardo in giro: al di là dei prati, verso un bosco non troppo lontano, solo un paio di armati di guardia. Se riuscissi a evitarli e a inoltrarmi nella selva... (mi coglie la sensazione profonda della possibilità di un totale distacco dall'umanità e di un conseguente ritorno alla natura più selvaggia in tal caso; la fuga da una società puramente tecnocratica, in virtù di una non-esistenza arcaica...). Torno a pensare a un piano di fuga, quando in parte a un piccolo gruppo di persone scorgo un mio amico, vestito in modo piuttosto trasandato, pallido e con la barba sfatta; anche lui si accorge di me, io allora gli sorrido e indico prima la folla e poi il mio collo alla base della nuca (il chip veniva impiantato lì, in qualche modo lo sapevo). Il mio amico capisce a cosa alludo e mi raggiunge. Dopo un breve scambio di battute, gli chiedo se lo hanno “inchippato”. Lui risponde di sì, ma poi afferma di aver trovato il modo di rimuovere il chip e me lo spiega.
-vuoto di memoria-

sono in piedi con altre persone in una specie di capannone circolare. Sul perimetro di questo, tutti intorno a me, molti civili seduti, alcuni mi pare legati a delle sedie. Molti soldati in giro; uno di essi chiama per nome le persone sedute, alle quali evidentemente dovrà essere impiantato il chip nel collo. Quando uno dei civili si oppone e cerca di incitare tutti gli altri a una rivolta, il soldato con la lista dei nomi fa un cenno ed altri armati arrivano e bendano il tizio recalcitrante, iniettandoli qualcosa nel collo; questo immediatamente è ridotto ad uno stato di semi-lobotomia, e fissa il pavimento farfugliando tra sé.

-vuoto di memoria-

sono solo in una piccola fabbrica abbandonata su due piani, quello inferiore riservato ai macchinari, quello superiore a due piccoli uffici. Si sono accorti della mia fuga: in lontananza, all'esterno, comincio a udire i caratteristici rumori e ronzii acutissimi dei moduli volanti alieni che si stanno avvicinando; non mi capacito di come mi abbiano trovato, quando realizzo che nel pensare agli alieni i suoni all'esterno si fanno più forti, come se fossero in grado,i moduli, di localizzare la mia posizione tramite le mie onde cerebrali. Intuisco allora che in qualche modo devono essere riusciti ad inchipparmi, e toccandomi il collo ne ho la conferma: al tatto sento una cicatrice che prima non c'era. I suoni si fanno sempre più forti, ormai mi hanno trovato: corro su agli uffici della fabbrica in cerca di ciò che mi serve per espiantare il chip secondo le istruzioni datemi dal mio amico, ma trovo solo una forbice e un taglierino: con quest'ultimo riesco ad aprire la cicatrice e a rimuovere il chip (rimangono dei microcavi rossi e blu che spuntano dalla carne insieme al sangue). Sembra funzionare: da fuori i rumori cessano all'improvviso. Sento però che dal piano inferiore qualcuno sta salendo le scale... provo a spiare senza farmi vedere: sembra uno di quei soldati dall'uniforme strana, ma è diverso, in qualche modo: ha qualcosa che non va... nel salire, noto infatti che indossa un passamontagna blu, ma non vedo altro che due buchi neri dove ci sarebbero dovuti essere gli occhi. Inoltre è più basso rispetto a un comune soldato. Intuisco di cosa si tratta, e prima che raggiunga il mio piano lo colgo di sorpresa da sopra e gli infilo le forbici nel collo. Una violenta torsione e il soldato si accascia al suolo morto. Tolgo il suo passamontagna, e svelo la sua natura aliena. Riprendo a fuggire

-vuoto di memoria-

alcune scene di apocalisse urbana, edifici che crollano,guerriglia in strada, incendi. Io che salvo una mocciosa da un auto in fiamme.

-fine.

Testamento dell'Occidente

Nel cerchio interiore del regno calcareo delle
Immagini,
in quel punto sottile in cui l'occhio della coscienza, senza
perdersi
, dardeggia un fuoco estremo,
là dove il nervo abbandona infine il pensiero, che riposa
Dio sa in quali astrali stratificazioni,
giace la MORTE
come estremo sussulto
d'una conoscenza
piena di ipnotici deliri
ma SALDA

(A.Artaud)