martedì 12 febbraio 2013

Il trionfo della materia: von Hagens


"in un mondo che non sa fare introspezione almeno un modo per guardarsi dentro e capire alcuni errori"
(GIANCARLO MAGALLI commenta la mostra di von Hagens)

Nonostante ormai da anni  io sia saturo in modo negativo di molti aspetti dello scempio chiamato "progresso",  non posso che rimanere nuovamente perplesso dinanzi a certi ultimi esiti del mondo dell'arte- certe degenerazioni postume della body art dei tagliuzzamenti e degli scorticamenti vari.
L'esempio è quello dei lavori dell'anatomista-artista von Hagens, inventore della plastinazione, che permette in sostanza di conservare corpi organici dopo la morte, una sorta di mummificazione post- moderna (già questa definizione può far capire molte cose), il cui scopo non è più la conservazione dell'essenza del defunto per il suo viaggio nell'aldilà, ovviamente, ma ancor più ovviamente la mera esposizione-"spettacolo" di questo stesso corpo secondo fini "artistici" e "scientifici"...



A parte il fatto che la trovo a priori concettualmente ripugnante, ma come non considerare quest' '"arte" una semplice aberrazione dal solo significato di ciò che cerca fin troppo efficacemente di mostrare, ossia il lato brutalmente materialista (scientifico) del "reale", indagato ancora una volta (non se ne può più) in modo feticistico e ai limiti del patologico? Un tal genere di attrazione popolare, quasi da circo degli orrori, volgare e in fondo stupida, viene apprezzata da centinaia di migliaia di persone, un pubblico non molto lontano, credo, da quello che trova "perturbanti" e appassionanti i maciullamenti alla Hostel di altri artisti del genere che si muovono in modo oculato tra il grottesco e il repellente. Roba contemporanea insomma.
Un pubblico che costruisce la propria chiusura intellettuale di matrice materialistico-nichilista godendo di "opere" che hanno la consistenza del nulla , perché queste fanno dei loro eccessi la semplice testimonianza del loro essere "umane, troppo umane". Abbiamo davvero bisogno di eccitare la nostra sensibilità con stimoli tanto grossolani per cominciare a fare uso del cervello e a renderci un poco più consapevoli nei confronti della realtà?
In queste manifestazioni plastiche non si ritrova niente: non c'è bellezza, non c'è disordine né bruttura, solo banalità portata all'estremo (la carne è sempre carne, seppur squartata e analizzata in ogni modo immaginabile); non c'è ribellione, ma soprattutto, ovviamente, non c'è alcunché di trascendente, anzi ci si trova agli idioti antipodi della trascendenza. Che i cultori di questa roba inizino a guardare loro stessi e l'universo con occhi diversi: forse arriveranno a capire che essenzialmente c'è poca differenza tra questo tipo di "arte" e quel genere di cose che il buon Manzoni aveva provveduto ad inscatolare qualche anno fa...

venerdì 8 febbraio 2013

Non toccatemi gli Sturmpercht

Gli Sturmpercht incarnano in musica buona parte delle viscere di pietra, ghiaccio, sterco di mucca e tradizioni delle Alpi. Li si potrà accusare di rozzezza e talvolta di stupidità, ma essi non fanno altro che rispecchiare in modo fascinoso la realtà di un mondo che non è per noi così lontano... Questo gruppo non è in grado di dare solamente una semplicistica visione epicizzante della vita delle comunità montane alpine di ieri e di oggi; gli Sturmpercht, da creatori del neofolk alpino, riescono meravigliosamente a restituire anche le più piccole e  inafferrabili sensazioni di queste realtà radicate nei millenni nascosti delle storie perdute di queste popolazioni. Per comprendere la loro musica bisogna davvero conoscere le montagne: la fatica, i silenzi delle tradizioni svanite, le notti dei bivacchi solitari d'alta quota, il respiro gelido dei nevai nascosti, il lontano belato delle greggi al pascolo tra le brume dell'estate...


  Il loro album migliore è sicuramente Geister Im Waldgebirg: per i pochi che lo sapranno ascoltare si rivelerà un capolavoro, una gemma di affascinante granito delle Alpi.
Leggende di arcaiche creature, notturni monocordi dei pascoli estivi, melodie rurali all'ombra dei larici e tanta birra rendono Geister un'esperienza difficile ma sicuramente, fottutamente appagante per l'ascoltatore aperto e coraggioso.
Un prodotto di nicchia (per fortuna) che consiglio e auguro a chiunque riesca a recepire e rispettare lo spirito delle nostre montagne.