[…] mugo verde, pozione dei dannati,
mentre la moglie e i figli a casa piangono
il bevitore versa mugo nel suo cervello […]
Una sera, appena dopo Ognissanti, il mio profilo d’ombra baluginava lieve davanti alle ultime braci della stufa: brindavo alla morte dell’Estate, il cui scheletro ormai anneriva nei roghi bruniti di novembre. La stagione appena trascorsa aveva avuto infatti la virtù di rinnovare il mio interesse nei riguardi delle geometrie perpetue del tempo: a colpirmi, fondamentalmente, le stravaganti somiglianze con altre sofferenze patite una bella stagione di tanti anni prima. Nel piccolo e vitreo calice da liquore, le ultime gocce dell’estate, nell’alchemica estrazione sostanziata in grappa di pino mugo, stillarono lentamente sul cubetto di ghiaccio sciogliendolo, fino a coprire di un gelido velo verde opalescente la superficie liscia del bicchiere. L’essenza resinosa del mugo, balsamica e appiccicaticcia, danzava sulla mia lingua rinvigorita dagli alcoli ghiacciati. Ogni pensiero si disfaceva come grasso liquefatto nella trementina durante il suo stesso ramificarsi nella mia coscienza. Avevo raccolto quel mugo sulle sommità calcaree dei pascoli taleggini proprio nelle vicinanze del solstizio appena trascorso, in uno strano momento di premonizioni e confusione mentale, era un meriggio umido e senza ombre, come lo era la mia vita da qualche tempo, del resto. Ora, finalmente, anche quel ricordo finiva bevuto, assimilato per poi essere espulso insieme a tutto il resto delle esperienze, delle memorie e delle sensazioni che informano l’esistenza. Era quella forse un tempo la libertà degli dei delle vette: ricordo evanescente e gioiosa dimenticanza. Della materia stessa dell’eterno, essi non hanno esperienza della temporalità. Gli dei sono esseri morti.
Sulle montagne vivono gli dei,Immersi in brume eterne d’amore,
Nutriti dagli stami dell’anemone.
Salvezza! Stridono e franano i gerù
Insieme ai neri vecchi torrenti
Ferite antiche delle valli, che dai muschi
E dalle rocce stillano sangue d’acqua
Che è alimento degli dei.
Dimenticanza! Gioendo sulle alte vette
In danze splendenti di favonio
D’inverno odoroso, e di vergine neve
Disciolta nel sole, rappresa nel ghiaccio
Divini vanno come vapori iridescenti
Ed errando in alpestri solitudini
Forse scorti da un silente viandante
Nel vento e nel ghiaccio vanno
Aspettando, aspettando sul crinale…
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