sabato 7 maggio 2016

Il bisogno dà poca scelta



Un'esistenza che passa come il colore dei fiori nel meriggio di marzo. Una tensione enorme e sfuggente, lo strazio dell'estraneità, la solitudine dei profeti.
Sprofondare nelle paludi della manifestazione alla ricerca di ciò che è occultato; essere il senso e il male necessario.
Sulle rupi altissime, tra i rododendri di luce e sangue arranca un'ombra lontana...

Val Mora e dintorni

Al di là di Averara, negli anfratti della valle brembana, si schiudono valli che paiono strettoie, sì vicine ancora ai mondi calcarei, ma subito differenti nei loro paurosi versanti dalle temibili pendenze, lambite a loro volta dalle nere ombre dei boschi di peccio;  è inevitabile accorgersi dell'essere giunti in un luogo diverso, in una natura più "alpina", dove il silenzio dei deserti di calcare è sostituito dal fragore dei gelidi torrenti, viscidi e scuri.  
Il confine lo si passa salendo verso la contrada di Valmoresca; da qui la vecchia mulattiera della Via Mercatorum, ora dimenticata, porta ancora al passo valtellinese, molto più in alto. Io salgo lungo i sospiri dei ricordi di questi luoghi selvaggi, che ho avvicinato e conosciuto poco a poco.
Subito a occidente si disegna una valle gemella a questa, la val di Vai, che ospitò una notte fredda di inizio Maggio me e la mia amata; una piccola baita aperta ci fece da bivacco e fu un'altra storia di fuochi notturni, visioni siderali e strane malinconie delle ultime nevi sui grandi pascoli cupi, prima dell'arrivo dell'estate.
Sfuggire alla temporalità vagando tra le tracce di un mondo morto, quello arcaico della montagna che fu, e che ancora echeggia lungo i nostri sentieri.
Sono tanto permeabile a questi luoghi, che posso scorgere ogni sfumatura nelle loro differenze, nei caratteri dei genii che li governano.

Piani dell'Acqua Nera

Si stendono infine dinanzi al viandante che, risalita tutta la strettoia della Val Mora, abbia raggiunto e attraversato la diga che fa la guardia al grande lago soprastante. L'altitudine modesta del luogo non ne influenza il carattere alpino dei pascoli verdeggianti a nord del lago, intrisi delle acque quasi stagnanti che si diramano in mille rivoli scendendo i versanti dirupati del Colombarolo e del Verrobbio.
Zona di antichissimi alpeggi e più recenti miniere; un possibile riparo e bivacco è la baita sull'alto versante nord - est del monte Mincucco.
Ci si muove qui su passi millenari, e tra piccoli altipiani e valli secondarie, si scorgono ancora i misteriosi Barech, manufatti delicati quasi partoriti dai pascoli stessi...

Un altro Maggio lontano, qui.
Al riparo dal gelo del favonio nei pressi delle ancestrali pietre di un barech, un fuoco notturno cangiante, lingue di fiamma vive nel buio del pascolo ora morto, il profumo di legna di larice come incenso primordiale - e il silenzio limpido dell'ultimo inverno alpino, come il sospiro nascosto dei ghiacci più in alto.
Proprio qui un'altra rinascita spirituale, qui dove solo tre anni prima tutto era iniziato - di nuovo - dalla malattia, al tramonto, prima del fuoco,
                                      invocando Nauðr

la purificazione che precede la visione, all'ombra del mio larice, in questa notte di fuoco e gelo montano ve ne saranno altre Nove.

 Qui io sono appeso ai tuoi ciclopici rami, privo dell'occhio attendo il sorgere di un nuovo sole sulla terra che si stende immensa sotto di me, ma la notte è ancora lunga e viva intorno.
La notte dà senso e conoscenza ai giorni.


Ritorno, e volgo lo sguardo al barèch dove c'è il nostro campo: l'ultima luce crepuscolare accende le rocce oblique e le praterie scoscese del massiccio dei Ponteranica, in alto ancora innevato, che ci sovrasta. Mi incammino verso il fuoco acceso da lei.









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