giovedì 17 gennaio 2019

Valenze folcloriche della speleologia orobica 2 - Büs Senedèl LO BG 1420

L'ingresso del Senedèl (Sorisole)

Di scarso interesse etnografico, a prima vista, la vicenda riguardante il bus Senedèl, sito in Val Baderem, nei pressi della sorgente da cui scaturisce il torrente Morla. Si narrava infatti che una famiglia vi avesse dimorato, sul principio del secolo scorso, sostentandosi grazie alla raccolta di legname(1). Chi fossero gli abitanti del Senedèl e per quanto tempo vi si fossero insediati, sempre che siano mai esistiti, non è dato sapere. Quel che appare interessante è il confronto obbligato tra questa e le numerose altre storie di uomini vissuti nelle grotte che si riscontrano su tutto l'arco alpino. Riesce difatti arduo immaginarsi oggi la possibilità di una permanenza prolungata in luoghi spesso resi invisibili dall'irruenza della giovane boscaglia, cresciuta là dove fino a pochi decenni or sono non c'era che pascolo e nuda roccia. Grotte di questo tipo, oggi dimora di rovi, vitalba, volpi e tassi, sono sempre di semplice accesso ad andamento orizzontale, molte volte caverne o grottoni tipici dei conglomerati. Eppure le testimonianze, poi divenute aneddotiche, non mancano. Poco tempo fa alcune donne di Poscante ci parlarono di un immigrato slavo andato a vivere, in solitudine, in una certa grotta a monte del paese(2). In Val del Giongo, sempre ai piedi del Canto Alto, dimorava in un buco il “Tarzanì” mentre sopra Cassiglio, nel selvaggio Bus del Colonel, un ex-ufficiale, per misteriose ragioni, si ritirò in isolamento(3). Poco più a nord, tra le strette valli della Val Moresca, in un riparo ricavato da grandi massi viveva “ol Fracasèt”(4). Spostandoci in alta Val San Martino, a Torre de' Busi, sulle pendici del Monte Tesoro, viveva il “Lupo”, uomo monco, mentre nell'adiacente Carenno un'intera famiglia risiedeva in una nicchia sulla mulattiera che porta alla località Piazza.

Una grotta un tempo abitata in Val Nossana (Premolo)
 In Val Seriana, salendo lungo la Val Nossana, si nota una grotta in conglomerato integrata un tempo da quelli che oggi sono resti di muri a secco, abitata un tempo, nella stagione estiva, da una famiglia estremamente povera. Quest'ultimo caso rimanda a svariati altri di cavità trasformate in rudimentali abitazioni grazie alla costruzione di muri, finestre, porte e focolari supplementari. Un esempio splendido in questo senso, quasi monumentale, è la cà Pipeta a Samolaco, in Valchiavenna, che presenta diversi locali abitabili, struttura ricavata scavando al di sotto di un enorme masso.
Cà Pipeta (Samolaco)

Dato di rilievo nel riportare la storia di queste grotte, ed elemento comune a molte di queste, è l'aspetto dell'isolamento sociale volutamente ricercato dalle figure che si tramanda le abitassero. Approfondire questo fatto richiede spazi e tempi che esulano dagli scopi di questa ricerca; tuttavia è possibile fornire qualche suggerimento di un certo interesse. Nell'ambito alpino è comune la sopravvivenza odierna di narrazioni e iconografie riguardanti il mito dell'uomo selvatico, figura metamorfica oggetto di tanti studi e testi. Era questa una creatura ambigua, arcaica e sapienziale, isolata dalla comunità valligiana ma della cui esistenza tutti erano a conoscenza. Molto frequentemente l'uomo selvatico dimorava in grotte o spelonche lontane dagli abitati, in uno stato di primordiale affinità con le forze naturali, rispecchiate dal suo aspetto animalesco. A volte il suo carattere semi-umano viene del tutto meno, lasciando spazio a quello di esseri più antichi e radicati nel leggendario di ascendenza culturale centro europea(5). Essere sfuggente, possedeva conoscenze non comuni che occasionalmente trasmetteva agli uomini: arti come la caseificazione, la cura del bestiame, financo la fitoterapia. L'aiuto dato alla popolazione in questo senso lo avvicina da una parte ai santi eremiti, in primis a Sant'Onofrio(6), spesso venerati nelle valli in chiese, oratori e cappellette votive. La compenetrazione tra animale e uomo, nel senso benefico e utilitario del termine, può inoltre essere associata a figure antichissime relative allo sciamanesimo. Ma andremmo troppo lontani.
Il Sant'Onofrio di Santa Brigida
Questi ultimi motivi sembrano essere ad oggi assenti nei racconti riguardanti i vari “eremiti” orobici, così come non siamo a conoscenza della presenza di figure solitarie femminili, ma non è da escludersi che in passato potessero essere presenti. In generale su tutto l'arco orobico pare assai sporadico il manifestarsi di figure accostabili ai guaritori o a coloro che “segnavano”, assai presenti in altri ambiti alpini(7). Ritroviamo invece questi poteri miracolosi in diversi personaggi ecclesiastici(8). Che vi sia stata una sorta di “trasferimento funzionale” da quelle a questi ultimi non è oggi storicamente accertabile.

NOTE
(1) R.Zambelli 1968
(2) probabilmente il Buco di Val Fosca LO BG 1381, ma non ne siamo certi data la sua attuale irreperibilità.
(3) http://forum.valbrembanaweb.com/trekking-escursioni-valle-brembana-orobie-f87/
(4) ibidem
(5) nello specifico, si trovano identificazioni con entità simili ai folletti, agli orchi e ai giganti; per quanto riguarda le donne selvatiche, anche l'immaginario relativo alla stregoneria.
(6) http://paoloferliga.it/pdf/eremiti.pdf
(7) per una rassegna generale sull'argomento cfr. Baldini E., Bellosi G., Tenebroso Natale, il lato oscuro della grande festa, Laterza, Bari, 2018, pp. 160-167
(8) es.  «Ol pret di Bà», Don Francesco Brignoli, o Don Antonio Rubbi, preòst sant di Sorisole.

mercoledì 9 gennaio 2019

Valenze folcloriche della speleologia orobica 1 - Note metodologiche; Crepaccio della Rocca LO BG 1058 (S.Pellegrino Terme)

NOTE METODOLOGICHE

Grande clamore mediatico e fantasmagorico s'è ridestato, negli ultimi tempi, nei confronti del multiforme universo montano. Esso si nutre dell'ego dei nuovi consumatori dell'imbellettata immagine che la ragnatela offre della montagna, quasi sempre sottovuoto, o meglio moderna (mere)promotrice di sé stessa ai loro appetiti pulsionali.
Pare doveroso quindi contribuire a siffatto stato delle cose con questa nuova piccola ricerca incentrata sui sotterranei legami culturali che dai tempi più remoti esistono tra mondi carsici e l'immaginario popolare.
Lo studio si concentra sulle cavità orobiche – in primis brembane e seriane – che presentavano, alla data 1981, quella del famoso catasto che del resto rimane la nostra fonte principale, una nota di interesse folcloristico non meglio specificata all'interno del catasto stesso. L'intento è quello di incrociare la ricerca bibliografica con quella sul campo per reperire il maggior numero di informazioni a proposito di questi rimandi culturali prima che vadano definitivamente persi.*
Alle cavità di interesse squisitamente folkloristico segnalate sul vecchio catasto abbiamo annesso anche quelle che possono rivelare argomenti inerenti al tema sulla base della loro denominazione.**
Abbiamo aggiunto anche ulteriori luoghi di interesse sulla base di racconti e leggende reperiti nei testi.
Si tratta in realtà di una ricerca complessa sotto molti punti di vista, data l'età ormai vetusta della maggior parte dei rimandi catastali, i più recenti dei quali valicano raramente gli anni Sessanta del secolo scorso. Inoltre molte delle grotte e cavità segnalate risultavano di collocazione dubbia o incerta già all'epoca della redazione del catasto.
Vorrei sottolineare che la finalità di tutto questo deve essere intesa come quasi puramente estetica, priva di qualsivoglia ammiccamento accademico o di repellenti approcci come quelli volti alla “valorizzazione” territoriale per “portare” la gente in montagna... Noi crediamo che quello (pre)alpino sia un mondo morto e fascinoso, capace però ancora di elargire alcune delle sue gemme oscure e dimenticate... spesso a caro prezzo di chi le ricerca.

*la ricerca bibliografica prevede, oltre alla consultazione di testi fisici, anche la ricerca web, così come quella sul campo va intesa spesso come un riscontro con la variegata popolazione locale o con quella di speleologi e affini, oltre all'attenta analisi del territorio oggetto di studio.
**ad esempio, LO1021 il Bus del Mago di Gazzaniga, o LO1359 Cesa del Diaol (Chiesa del Diavolo), di Ardesio.


Crepaccio della Rocca  LO BG 1058 - San Pellegrino Terme

Crepaccio della Rocca

 Castelli arroccati su vette inaccessibili, posti a guardia di città o villaggi e attraversati da un labirinto nascosto di cunicoli e passaggi sotterranei, tutti elementi ricorrenti nel mondo fiabesco delle storie infantili, paiono essere l'ispirazione ideale per avventurarsi sugli irti pendii a monte di Piazzacava (San Pellegrino Terme). Qui la leggenda, riportata negli anni Trenta dal Frassoni, narra appunto della presenza di tali anfratti segreti nelle viscere del monte.
Del resto, non sembrano emerse ad oggi evidenze archeologiche nella zona strettamente relativa alla cavità in questione. In località Torre, poco più a valle, pare vi fosse un casale fortificato*, ma ciò non giustifica la leggenda relativa alla località Rocca; crediamo di essere in presenza quindi di una significazione toponomastica dovuta all'intersecarsi tra memorie storiche sedimentate nell'immaginario degli abitanti e morfologia vera e propria del territorio della “Rocca” di Piazzacava, promontorio dolomitico dalle aguzze sommità che possono evocare torri e bastioni di umano artificio.

cascinale in zona

Evitando i pascoli ancora utilizzati dal punto di vista zootecnico dai locali, i quali producono anche notevoli formaggi, ci siamo avvicinati al versante settentrionale del promontorio in questione, in un paesaggio ancora ruralmente pregiato, risalendone le boscaglie abbandonate per un centinaio di metri. Appena oltre il fondo si fa più tormentato e la dolomia principale inizia a dare il meglio di sé , spalancando sulla destra il Crepaccio della Rocca. Un nostro conoscente geologo aveva accennato, tempo fa, al fatto che tutta questa zona sia oggi molto “instabile” e che si stia muovendo non poco – questo il succo del discorso, non potendo noi entrare nel dettaglio. Abbiamo la conferma della cosa quando successivamente consultiamo il rilievo della cavità datato 1932: da allora possiamo constatare con sicurezza la presenza di almeno un grosso scollamento, il quale in realtà ha alterato sensibilmente la fisionomia complessiva del Crepaccio.
Questi luoghi sono citati anche altrove, a proposito di una favoletta popolare che ha per protagonisti un lupo e una volpe:

[…] un tale Matièt della contrada Grabbia di San Giovanni Bianco aveva ucciso una mucca malata (forse era pazza...) e l'aveva seppellita in cima al curnù, una sporgenza rocciosa che sovrasta la località Rocca, poco a monte di San Pellegrino Terme […]**.

*http://www.comune.sanpellegrinoterme.bg.it/turismo/la-storia/
**T.Bottani, W.Taufer, Racconti popolari brembani, Comunità Montana Valle Brembana, Bergamo, 2001, p.73

croce (confinaria?) sulla strada verso Alino