lunedì 4 novembre 2019

Valenze folcloriche della speleologia orobica 4 - Carsismo e stregonerie

Fino a pochi decenni orsono la figura della strega nelle sue diverse sfaccettature e interpretazioni era ancora ben radicata nell'immaginario e nel vissuto quotidiano delle popolazioni alpine e non solo. Elementi anche reali, più o meno identificabili come stregoni o streghe erano tacitamente riconosciuti dalle comunità, e si ritrovano, anche nei testi, esempi di fatti a essi correlati (1). Inevitabilmente si tendeva quindi ad associare per via simpatica questi esseri, posti spesso al margine della società locale, ai luoghi circostanti più nascosti o minacciosi, dando vita anche a racconti e leggende piuttosto articolati (2).
Nell'ambito orobico, le informazioni toponomastiche legate alle cavità sotterranee consultate fino ad ora hanno restituito una quantità piuttosto esigua di indicazioni a proposito; allargando quindi per l'occasione l'indagine all'intero settore lombardo, si è delineata una generalissima "geografia carsica della stregoneria" che, numericamente suddivisa per provincia, ha portato a questi dati:

BS 7 - CO 5 - BG 3 - VA 2 - SO 1  (3)

dove le cifre indicano il numero di cavità direttamente legate, per la denominazione locale dialettale, o per le vicende narrate, a materia di streghe e affini.
Il ruolo che storicamente l'inquisizione ha avuto nel plasmare l'immaginario delle popolazioni prealpine di una data area rispetto ad un'altra è argomento non trattabile in questa sede; ci si concentrerà quindi sulle sole cavità legate al territorio orobico. Rimane da sottolineare, in ogni caso, il carattere ormai sfuggente di gran parte delle denominazioni sopravvissute, anche a causa di una certa tendenza, diffusa tra gli speleologi, all'accantonare i dati di carattere etnografico o folcloristico relativi alle cavità da loro esplorate.
Da un punto di vista più simbolico, la grotta rimanda naturalmente all'universo femminile, segnato dall'oscurità vitale del grembo materno e del cielo notturno. Così la stessa inaccessibilità e paurosità di questi luoghi così vicini al mondo ctonio, negati alla vista, li ha favoriti da subito quali siti d'elezione per Sabbat e riunioni (d'estasi?) similari per streghe, stregoni, diavoli e animali dai connotati "demoniaci". A proposito di quest'ultima categoria di esseri, viene spontaneo notare come molti Strigiformi risiedano abitualmente, durante il giorno, in luoghi quali caverne o similari.
In Italia gli esempi riscontrabili in letteratura di grotte o buchi frequentati da inquietanti entità femminili si sprecano; da notare anche come, rimanendo in ambito alpino, laddove la natura geologica del terreno non permetta sviluppi carsici, i siti stregoneschi divengano luoghi di confine, liminali, come le viscide e buie forre dei torrenti, le vicinanze dei crocicchi e dei ponti, i grandi massi erratici che paiono posti in luoghi dove, senza un intervento prodigioso, non avrebbero senso di essere (4).

Il sàs da la sc’trìa di Samolaco. Oltre al repellente pannello indicativo, si nota la caratteristica striatura che ha generato la leggenda associata (v.nota 4).

Tornando alle rocce carbonatiche orobiche, troviamo qualche racconto di sicuro interesse per l'appassionato. In bassa Val Seriana, ad Albino, troviamo il Büs de la Stréa (LoBg 1023):
Durante il medioevo, secondo la leggenda, un gruppo di Stree si stanziò in media Val Seriana. Nessuno sapeva il come ed il perché fossero arrivate, forse per sfuggire ad altre persecuzioni. Esse si nascondevano nei boschi e scelsero come dimora le varie cavità e grotte dei dintorni. Ben presto si registrarono gli effetti della loro presenza: morti inspiegabili, malattie, carestie, sterilità, bestie ammalate, catastrofi atmosferiche e via discorrendo… I valligiani, dopo una pubblica riunione decisero di dare loro la caccia per metterle a pubblica giustizia. Iniziò quindi la caccia alle streghe nella boscaglie circostanti la zona di Albino. Dopo giorni di rastrellamenti molte di loro vennero catturate. L’ultima di queste Stree aveva dimora in una grotta sopra Albino, gli uomini accerchiarono la zona, la fattucchiera vedendosi così spacciata, prima di essere catturata si mise a graffiare le pareti della grotta in modo forsennato lasciando su di esse i profondi solchi delle sue unghie (5).
Anche in questo caso, come per i già numerosi "cören del Diavolo"(6) e similari, la fantasia popolare coltiva narrazioni sul suolo fertile della "meraviglia naturale", dando prova di una capacità di costruzione per immagini che divengono quasi oniriche.
Sempre in Val Seriana, a Casnigo, si trova la Fontana de Pì (LoBg 1032), grotta che "[...] si trovava a metà salita fra la frazione Serio e Casnigo, a tre o quattro metri sopra il livello stradale, vicino ad una sorgente d’acqua. Vi abitava la Egia da Pì (la vecchia della ripa), incaricata di fabbricare i bambini per le spose del paese"(7). Da notare la presenza di una fonte e di una figura ad essa legata, tema comunissimo anche se non così diffuso lungo l'arco orobico.
Non troppo lontano, esiste ad Entratico un'altra Büsa de la Stréa (LoBg 1234), ma ad oggi (e a mai più?) non vi sono ulteriori informazioni a riguardo.
In ambito extra orobico, ma relativo al fiume Brembo in quanto si è in alta pianura bergamasca, a Marne circolava la diceria che nelle cavità a ridosso del fiume abitassero delle streghe di bellissimo aspetto che la notte andavano a dissetarsi ai fontanì della zona, e che poi attiravano i ragazzi e li facevano così annegare. Tornando in montagna, nel territorio delle Grigne, e sempre in relazione a una sorgente, il Funtanìn de la Tur a Esino Lario, si diceva che una strega, residente nella torre in questione, avesse deciso un giorno di mettere un gatto nero - vivo, si intende - a bollire sul focolare. Questo poi si libera, schizzando fuori dal pentolone ed emettendo versi paurosi; nello stesso tempo un'immane massa d'acqua scaturisce dal Funtanìn e si abbatte sul paese (8).
A Costa Imagna, il lavatoio principale vede la presenza di uno strano spirito femminile, il foemnì, e proprio all'interno della struttura stessa si può notare ancora oggi l'ingresso di una piccola cavità, non sappiamo se naturale o artificiale, correlata allo scorrere dell'acqua, e che probabilmente ha contribuito al diffondersi di tale racconto (9).
Essenziale quindi, in molti di questi racconti, il triplice accostamento di lontanissima matrice storica costituito da donna, giovane o vecchia che sia, acqua e grotta, caverna o cavità. Non mancano ovviamente, almeno dal punto di vista toponomastico, altri esempi di queste presenze sulle montagne bergamasche (10), ma le storie a queste collegate sono ormai, probabilmente, perdute.

Zona del Roccolo di Strìe presso Azzone da una cartolina del 1986, con annessa chiesetta "d'ordinanza".


NOTE
1 Da non dimenticare tra costoro quelli che "segnavano" nell'accezione negativa del termine. 
2 "Sempre legato al discorso delle streghe e degli stregoni, voglio raccontare un fatto [...] accaduto al mio bisnonno Luigi Peroni. Questi era sacrista nella parrocchia di Valgoglio; un giorno, durante un forte temporale, egli andò a sunà l'tép. Ad un certo punto [...] lo raggiunse  il parrocco, il quale gli disse: "Arda Lüige chèla ègia so lé sota come la bala!". Il mio bisnonno rispose: "La ède mia!". Allora il parrocco gli disse: "Met sö 'l to pé sura 'l me!". Così facendo, il mio bisnonno vide allora una vecchietta sul sagrato della chiesa che ballava e sgomitava sotto la pioggia, senza però bagnarsi.  A.Chioda, Valgoglio e la sua gente, Ed.Com&Print, Brescia 2009, p.104
3 Notare come la grande parte dei toponimi si situino in area bresciana (Val Camonica e vicinanze) e il comense, territori nei quali l'inquisizione agì in misura maggiore.
4 Per la Val Brembana,tra le altre: https://www.leggende.vallebrembana.org/strega.html
In Val Chiavenna si trova
il  “sàs da la sc’trìa, il sasso della strega, chiamato così perché un’antica leggenda vuole che sia stato luogo di sosta prediletto o addirittura dimora di una pestifera strega. Anche il segno misterioso viene spiegato da questa leggenda. La strega che abitava dietro il masso, un bel giorno, volle combinare un terribile scherzo agli abitanti di Schenone e Nogaredo, e decise di farlo rotolare giù nella Bolgadrégna, per fermare l’acqua e non farla più arrivare al piano. Si diede, allora, a spingere e spingere, ma il masso non si  muoveva. Lungi dall’arrendersi, prese una bella catena, lo legò e cominciò a tirare, con tutta la forza che aveva in corpo. Ma neppure così il masso si spostò, neanche di un solo millimetro. Alla fine si dovette dare per vinta, e gli abitanti di Schenone e Nogaredo poterono continuare a godersi tranquillamente l’acqua del torrente". (http://www.paesidivaltellina.it/camminasamolaco/index.htm).    
5 Tratto da http://www.terraorobica.net/Articoli/Leggende/Ol%20Bus%20de%20la%20Strea.htm
6 Numerosi massi sparsi per le vallate prealpine, che presentano morfologie carsiche superficiali tali da farli apparire come "segnati" da zoccoli o impronte animali affini.
7 Tratto da Basezzi N., Il leggendario nelle grotte bergamasche, https://www.nottole.it/pubblicazioni/Nottolario_numero12_2005.pdf
8 Per la vicenda di Marne e quella di Esino Lario, Gleria E., Contributo per una ricerca sul folklore delle grotte lombarde, http://spazioinwind.libero.it/folkgrotte/lombardia.htm
9 Ringrazio M.Trabucchi per questa piccola "indiscrezione leggendaria".
10 Es. il Roccolo della Strìa in Val di Scalve, il Fontanì della Strìa in Val Brembilla, e altri.

giovedì 15 agosto 2019

Non rompete i coglioni con il Tempo

Non si ha che da perder tempo, o meglio, per non scadere nel Baudelarianesimo più becero: il più alto raggiungimento umano, l'estasi terrena, altro non pare essere che l'annientamento temporale - la morte in vita più o meno definitiva, l'abbandono della corporeità quotidiana, miserabile e greve, per qualcosa che la trascendi. Noto argomento d'iniziazione. Le ore e i giorni divorati dalla persistenza della memoria, falsamente sempre più labile: nel frattempo ogni cosa sedimenta nelle argille del subconscio. Ogni esperienza si fa stantia, sciacquettando mollemente tra i flutti salmastri della ricorrenza*. Evasione o ebbrezza, ogni piacere si fa sovrumano se abita la purezza dell'atemporalità. Vorrei porre l'attenzione sull'atto creativo, che avvicina all'assoluto, alla perdita del tempo. Mi si rimprovera una mancanza di concretezza, di produttività... intrinsecamente occidentale, la necessità di produrre inquina anche la purezza dell'atemporalità. Si può essere beati - e artisti - senza l'intima necessità di dover partorire?
ecco una lista di pratiche che possono favorire un'ascesa più o meno intensa del Serpente che divora il Tempo.

Meditazione
Uso di sostanze inebrianti
Musica
Danza
Sessualità
Insonnia volontaria
Ispirazione artistica
Pratica onirica
Magia
Psicosi
Preghiera
Distruzione della routine quotidiana
Digiuno


La necessità creativa materiale, molto osannata da noialtri, è l'unica tra le pratiche che possa dare esempi visibili di ciò che accade nel momento dell'estasi - nel momento in cui non è contaminata dal mestiere. Altrimenti diviene affare sociale, trascinando con sé la validità della pratica. Le due componenti, estasi e creatività materiale, possono coesistere solo nel "genio**", spesso a spese della salute del soggetto stesso. In ogni caso, il benessere assoluto, che non ha a che fare con lo stato normale di corporeità, contrasta con la necessità (ri)produttiva. Questa prospettiva apre abissi che vanno molto oltre il senso comune dell'esistenza, senso basato del resto su una grande limitatezza percettiva della stessa, tipica di gran parte degli esseri umani attuali***.

*a meno di spezzare violentemente il proprio moto indotto tramite atti di Volontà.
**definizione poco consona ma dettata dalle necessità del medium comunicativo qui utilizzato.
***ho esperienza solo di questi, qui e ora.

sabato 9 marzo 2019

Valenze folcloriche della speleologia orobica 3 - I ladri e i loro buchi

Nei pressi della "grotta del Pacì", tra Canto Alto e Basso

Nel territorio orobico è riconosciuta la presenza di diverse cavità correlate toponomasticamente a vicissitudini di briganti, malfattori, o ladri che pare le abbiano in qualche modo utilizzate come covo e nascondiglio(1). Da una prospettiva semplicemente visiva oggigiorno risulta in effetti facile immaginare come personaggi di tal genere, storicamente esistiti o meno, potessero trovare rifugio e via di fuga nel labirinto di boscaglie e abbandono tipico del paesaggio della nostra montagna. Dei sentieri, delle cascine e di mille altri piccoli segnali antropici un tempo ben definiti oggi non rimane che la rovina(2), e quel che c'è di nascosto come le grotte appunto è destinato a divenirlo sempre di più, complice la mancanza di cura e interesse. 
Al tempo del formarsi delle dicerie sui briganti le cose stavano diversamente; ogni piccolo anfratto roccioso, ogni lembo di pascolo o di bosco era conosciuto spesso con un suo nome proprio dall'abitante del posto. Il territorio aveva una sua ben precisa identità toponomastica localmente riconosciuta. L'accesso a luoghi che oggi diremmo “selvaggi” era garantito da una rete di “infrastrutture naturali” oggetto di continua premura e controllo; i versanti, i boschi e le selve apparivano puliti in quanto sottoposti al pascolo e alla coltivazione. In uno scenario simile l'universo carsico era sicuramente ben più riconosciuto, almeno superficialmente, da grande parte della popolazione del luogo, con tutto il carico simbolico e narrativo annesso. In questo quadro storico il brigantaggio risulta ben esistente e documentato, anche se naturalmente diviene impossibile risalire con certezza alla presenza in una determinata grotta di un gruppo di ladri o simili. È facile però immaginare un certo grado di possibile connivenza tra questi e la popolazione locale, principalmente nelle fasce più povere della stessa. Appare quindi piuttosto improbabile che gente come i contadini, i pastori o i cacciatori non fossero a conoscenza dell'eventuale presenza di criminali all'interno dei loro luoghi d'elezione; sicuramente avevano una conoscenza del loro territorio del tutto superiore a quella media dell'abitante attuale dello stesso. Ipotesi di una fine tessitura di “favori reciproci” tra le due parti non sono improbabili. Questa vicendevole simpatia può aver portato del resto a quella sedimentazione nell'immaginario popolare di alcune famose figure di briganti assurte a veri e propri “miti” collettivi; a questa è seguita la transizione dal fatto locale alla memoria storica condivisa, costellata poi di episodi al limite del leggendario. L'esempio orobico di riferimento è il Pacì Paciana(3), che tra la cima e le pendici del Canto Alto pare fosse di casa in diverse cavità “nascoste”(4). La grotta-caverna-spelonca diviene in quest'ottica, ancora una volta, il deposito delle paure rinnegate ed evitate dall'uomo: il ladro vi si annida al suo interno, invisibile, pronto ad emergerne per compiere i suoi delitti non appena le luci del giorno si fanno morenti. Ad oggi le cavità orobiche correlate – nel toponimo - a vicende ladronesche sono circa una decina (5), essendo probabilmente la LOBG 3683 e la LOBG 1474 assimilabili alla stessa vicenda(6). Da questo carattere sotterraneo di devianza emana un riflesso più recente e in qualche modo rassicurante, quello delle grotte cosiddette “dei partigiani”, anch'esse piuttosto numerose nelle Alpi Orobie(7). Si tratta bene o male dello stesso tema pur se trasposto in chiave diversa, quella della ribellione ad un ordine sociale sentito ormai diffusamente come ingiusto, imposto e scomodo. La caverna diviene quindi ancora il grembo dal quale trarre nuova linfa per una possibile rinascita e ricostruzione del mondo(8). 



NOTE
1 altrove, sempre in Lombardia, le grotte divengono luogo stesso del crimine. Esempi si ritrovano nei pressi del monte Maddalena e dell'altopiano di Cariadeghe nel bresciano. Gleria E., Contributo per una ricerca sul folklore delle grotte lombarde http://spazioinwind.libero.it/folkgrotte/lombardia.htm
2 o peggio, il rinnovamento mal riuscito.
3  https://www.valbrembanaweb.com/valbrembanaweb/sitogino/personaggi/paci_paciana/paci_paciana.html
4 in primis LOBG 1065, negli immediati pressi del Canto Basso, e LOBG 1061 a Ambria di Zogno.
5 LOBG1450, LOBG1104, LOBG1065, LOBG1061, LOBG1015, LOBG1115, LOBG3639, LOBG3683, LOBG1474, LOBG1379.
6 “Nella località Castèl a Parre Inferiore, erano visibili fino al 1300 i ruderi di un antico castello circondato da fortificazioni. Nei pressi partiva un cunicolo che sfociava sulla strada tra Ponte Nona e Ponte Selva. Ancora oggi si può notare un largo foro praticato nella roccia che si insinua sotto terra in direzione di casa Caminelli, foro chiamato “Caverna dei ladri”. Gli informatori riferiscono anche dell'esistenza di numerosi altri cunicoli colleganti Parre di Sopra e Parre di Sotto. Di qui il fiorire di storie di briganti, comuni a molte località della Valle Seriana" (Anesa, Carissoni, Rondi, 1981; Beduschi 1983); da Gleria E., op. cit., http://spazioinwind.libero.it/folkgrotte/lombardia.htm
7 LOBG7331, LOBG3656, LOBG3655, LOBG1290, LOLC5020, LOBG1458, LOBG1446, LOLC5013.
8 di certo questa non è l'unica interpretazione possibile del rapporto che il brigantaggio e le grotte avevano nell'immaginario popolare. Per quanto riguarda LOBG1379, ad esempio, si è a conoscenza di un racconto popolare di Albino, nel quale è descritta l'attività criminale di una donna e dei suoi familiari, che dopo aver derubato e assassinato i viandanti ne gettavano i corpi nella suddetta grotta. (Anesa, Rondi, 1981) 

giovedì 17 gennaio 2019

Valenze folcloriche della speleologia orobica 2 - Büs Senedèl LO BG 1420

L'ingresso del Senedèl (Sorisole)

Di scarso interesse etnografico, a prima vista, la vicenda riguardante il bus Senedèl, sito in Val Baderem, nei pressi della sorgente da cui scaturisce il torrente Morla. Si narrava infatti che una famiglia vi avesse dimorato, sul principio del secolo scorso, sostentandosi grazie alla raccolta di legname(1). Chi fossero gli abitanti del Senedèl e per quanto tempo vi si fossero insediati, sempre che siano mai esistiti, non è dato sapere. Quel che appare interessante è il confronto obbligato tra questa e le numerose altre storie di uomini vissuti nelle grotte che si riscontrano su tutto l'arco alpino. Riesce difatti arduo immaginarsi oggi la possibilità di una permanenza prolungata in luoghi spesso resi invisibili dall'irruenza della giovane boscaglia, cresciuta là dove fino a pochi decenni or sono non c'era che pascolo e nuda roccia. Grotte di questo tipo, oggi dimora di rovi, vitalba, volpi e tassi, sono sempre di semplice accesso ad andamento orizzontale, molte volte caverne o grottoni tipici dei conglomerati. Eppure le testimonianze, poi divenute aneddotiche, non mancano. Poco tempo fa alcune donne di Poscante ci parlarono di un immigrato slavo andato a vivere, in solitudine, in una certa grotta a monte del paese(2). In Val del Giongo, sempre ai piedi del Canto Alto, dimorava in un buco il “Tarzanì” mentre sopra Cassiglio, nel selvaggio Bus del Colonel, un ex-ufficiale, per misteriose ragioni, si ritirò in isolamento(3). Poco più a nord, tra le strette valli della Val Moresca, in un riparo ricavato da grandi massi viveva “ol Fracasèt”(4). Spostandoci in alta Val San Martino, a Torre de' Busi, sulle pendici del Monte Tesoro, viveva il “Lupo”, uomo monco, mentre nell'adiacente Carenno un'intera famiglia risiedeva in una nicchia sulla mulattiera che porta alla località Piazza.

Una grotta un tempo abitata in Val Nossana (Premolo)
 In Val Seriana, salendo lungo la Val Nossana, si nota una grotta in conglomerato integrata un tempo da quelli che oggi sono resti di muri a secco, abitata un tempo, nella stagione estiva, da una famiglia estremamente povera. Quest'ultimo caso rimanda a svariati altri di cavità trasformate in rudimentali abitazioni grazie alla costruzione di muri, finestre, porte e focolari supplementari. Un esempio splendido in questo senso, quasi monumentale, è la cà Pipeta a Samolaco, in Valchiavenna, che presenta diversi locali abitabili, struttura ricavata scavando al di sotto di un enorme masso.
Cà Pipeta (Samolaco)

Dato di rilievo nel riportare la storia di queste grotte, ed elemento comune a molte di queste, è l'aspetto dell'isolamento sociale volutamente ricercato dalle figure che si tramanda le abitassero. Approfondire questo fatto richiede spazi e tempi che esulano dagli scopi di questa ricerca; tuttavia è possibile fornire qualche suggerimento di un certo interesse. Nell'ambito alpino è comune la sopravvivenza odierna di narrazioni e iconografie riguardanti il mito dell'uomo selvatico, figura metamorfica oggetto di tanti studi e testi. Era questa una creatura ambigua, arcaica e sapienziale, isolata dalla comunità valligiana ma della cui esistenza tutti erano a conoscenza. Molto frequentemente l'uomo selvatico dimorava in grotte o spelonche lontane dagli abitati, in uno stato di primordiale affinità con le forze naturali, rispecchiate dal suo aspetto animalesco. A volte il suo carattere semi-umano viene del tutto meno, lasciando spazio a quello di esseri più antichi e radicati nel leggendario di ascendenza culturale centro europea(5). Essere sfuggente, possedeva conoscenze non comuni che occasionalmente trasmetteva agli uomini: arti come la caseificazione, la cura del bestiame, financo la fitoterapia. L'aiuto dato alla popolazione in questo senso lo avvicina da una parte ai santi eremiti, in primis a Sant'Onofrio(6), spesso venerati nelle valli in chiese, oratori e cappellette votive. La compenetrazione tra animale e uomo, nel senso benefico e utilitario del termine, può inoltre essere associata a figure antichissime relative allo sciamanesimo. Ma andremmo troppo lontani.
Il Sant'Onofrio di Santa Brigida
Questi ultimi motivi sembrano essere ad oggi assenti nei racconti riguardanti i vari “eremiti” orobici, così come non siamo a conoscenza della presenza di figure solitarie femminili, ma non è da escludersi che in passato potessero essere presenti. In generale su tutto l'arco orobico pare assai sporadico il manifestarsi di figure accostabili ai guaritori o a coloro che “segnavano”, assai presenti in altri ambiti alpini(7). Ritroviamo invece questi poteri miracolosi in diversi personaggi ecclesiastici(8). Che vi sia stata una sorta di “trasferimento funzionale” da quelle a questi ultimi non è oggi storicamente accertabile.

NOTE
(1) R.Zambelli 1968
(2) probabilmente il Buco di Val Fosca LO BG 1381, ma non ne siamo certi data la sua attuale irreperibilità.
(3) http://forum.valbrembanaweb.com/trekking-escursioni-valle-brembana-orobie-f87/
(4) ibidem
(5) nello specifico, si trovano identificazioni con entità simili ai folletti, agli orchi e ai giganti; per quanto riguarda le donne selvatiche, anche l'immaginario relativo alla stregoneria.
(6) http://paoloferliga.it/pdf/eremiti.pdf
(7) per una rassegna generale sull'argomento cfr. Baldini E., Bellosi G., Tenebroso Natale, il lato oscuro della grande festa, Laterza, Bari, 2018, pp. 160-167
(8) es.  «Ol pret di Bà», Don Francesco Brignoli, o Don Antonio Rubbi, preòst sant di Sorisole.

mercoledì 9 gennaio 2019

Valenze folcloriche della speleologia orobica 1 - Note metodologiche; Crepaccio della Rocca LO BG 1058 (S.Pellegrino Terme)

NOTE METODOLOGICHE

Grande clamore mediatico e fantasmagorico s'è ridestato, negli ultimi tempi, nei confronti del multiforme universo montano. Esso si nutre dell'ego dei nuovi consumatori dell'imbellettata immagine che la ragnatela offre della montagna, quasi sempre sottovuoto, o meglio moderna (mere)promotrice di sé stessa ai loro appetiti pulsionali.
Pare doveroso quindi contribuire a siffatto stato delle cose con questa nuova piccola ricerca incentrata sui sotterranei legami culturali che dai tempi più remoti esistono tra mondi carsici e l'immaginario popolare.
Lo studio si concentra sulle cavità orobiche – in primis brembane e seriane – che presentavano, alla data 1981, quella del famoso catasto che del resto rimane la nostra fonte principale, una nota di interesse folcloristico non meglio specificata all'interno del catasto stesso. L'intento è quello di incrociare la ricerca bibliografica con quella sul campo per reperire il maggior numero di informazioni a proposito di questi rimandi culturali prima che vadano definitivamente persi.*
Alle cavità di interesse squisitamente folkloristico segnalate sul vecchio catasto abbiamo annesso anche quelle che possono rivelare argomenti inerenti al tema sulla base della loro denominazione.**
Abbiamo aggiunto anche ulteriori luoghi di interesse sulla base di racconti e leggende reperiti nei testi.
Si tratta in realtà di una ricerca complessa sotto molti punti di vista, data l'età ormai vetusta della maggior parte dei rimandi catastali, i più recenti dei quali valicano raramente gli anni Sessanta del secolo scorso. Inoltre molte delle grotte e cavità segnalate risultavano di collocazione dubbia o incerta già all'epoca della redazione del catasto.
Vorrei sottolineare che la finalità di tutto questo deve essere intesa come quasi puramente estetica, priva di qualsivoglia ammiccamento accademico o di repellenti approcci come quelli volti alla “valorizzazione” territoriale per “portare” la gente in montagna... Noi crediamo che quello (pre)alpino sia un mondo morto e fascinoso, capace però ancora di elargire alcune delle sue gemme oscure e dimenticate... spesso a caro prezzo di chi le ricerca.

*la ricerca bibliografica prevede, oltre alla consultazione di testi fisici, anche la ricerca web, così come quella sul campo va intesa spesso come un riscontro con la variegata popolazione locale o con quella di speleologi e affini, oltre all'attenta analisi del territorio oggetto di studio.
**ad esempio, LO1021 il Bus del Mago di Gazzaniga, o LO1359 Cesa del Diaol (Chiesa del Diavolo), di Ardesio.


Crepaccio della Rocca  LO BG 1058 - San Pellegrino Terme

Crepaccio della Rocca

 Castelli arroccati su vette inaccessibili, posti a guardia di città o villaggi e attraversati da un labirinto nascosto di cunicoli e passaggi sotterranei, tutti elementi ricorrenti nel mondo fiabesco delle storie infantili, paiono essere l'ispirazione ideale per avventurarsi sugli irti pendii a monte di Piazzacava (San Pellegrino Terme). Qui la leggenda, riportata negli anni Trenta dal Frassoni, narra appunto della presenza di tali anfratti segreti nelle viscere del monte.
Del resto, non sembrano emerse ad oggi evidenze archeologiche nella zona strettamente relativa alla cavità in questione. In località Torre, poco più a valle, pare vi fosse un casale fortificato*, ma ciò non giustifica la leggenda relativa alla località Rocca; crediamo di essere in presenza quindi di una significazione toponomastica dovuta all'intersecarsi tra memorie storiche sedimentate nell'immaginario degli abitanti e morfologia vera e propria del territorio della “Rocca” di Piazzacava, promontorio dolomitico dalle aguzze sommità che possono evocare torri e bastioni di umano artificio.

cascinale in zona

Evitando i pascoli ancora utilizzati dal punto di vista zootecnico dai locali, i quali producono anche notevoli formaggi, ci siamo avvicinati al versante settentrionale del promontorio in questione, in un paesaggio ancora ruralmente pregiato, risalendone le boscaglie abbandonate per un centinaio di metri. Appena oltre il fondo si fa più tormentato e la dolomia principale inizia a dare il meglio di sé , spalancando sulla destra il Crepaccio della Rocca. Un nostro conoscente geologo aveva accennato, tempo fa, al fatto che tutta questa zona sia oggi molto “instabile” e che si stia muovendo non poco – questo il succo del discorso, non potendo noi entrare nel dettaglio. Abbiamo la conferma della cosa quando successivamente consultiamo il rilievo della cavità datato 1932: da allora possiamo constatare con sicurezza la presenza di almeno un grosso scollamento, il quale in realtà ha alterato sensibilmente la fisionomia complessiva del Crepaccio.
Questi luoghi sono citati anche altrove, a proposito di una favoletta popolare che ha per protagonisti un lupo e una volpe:

[…] un tale Matièt della contrada Grabbia di San Giovanni Bianco aveva ucciso una mucca malata (forse era pazza...) e l'aveva seppellita in cima al curnù, una sporgenza rocciosa che sovrasta la località Rocca, poco a monte di San Pellegrino Terme […]**.

*http://www.comune.sanpellegrinoterme.bg.it/turismo/la-storia/
**T.Bottani, W.Taufer, Racconti popolari brembani, Comunità Montana Valle Brembana, Bergamo, 2001, p.73

croce (confinaria?) sulla strada verso Alino