sabato 30 novembre 2013

Piccolo omaggio alla Valle della Sonna (Torre dè Busi)


Reca ancora tracce del suo millenario passato insubrico - un sentore di ricordi e tradizioni che trasuda dai suoi luoghi pure oggi, evocato da pochi stralci sensoriali, come il profumo delle resine bruciate negli antichi camini delle case. Sfigurata irrimediabilmente dagli scempi irrecuperabili della lebbra edilizia, l'anima raccolta della valle persiste ancora nel fascino delle rocce e dei solchi complicati dei dirupi, attraversati di quando in  quando da forre oscure e umide sul cui fondo scorre qualche sonnolento rivo pronto a ingigantirsi nei grigi giorni di pioggia insistente. Luoghi dal carattere spesso ruvido e aspro, sebbene non si sia ancora "in alto": qui la collina esprime il suo volto più tormentato, eredità diretta della pietra sgretolata del Resegone. Vallette e anfratti fangosi tra i castagneti malati, ruderi di vecchie case e fienili in rovina che occhieggiano con orbite vuote dal buio dei boschi abbandonati, o dalle verdi radure solitarie dei prati del Tesoro, più in alto, laddove un tempo i veri tesori delle famiglie, i pascoli e il bosco, erano ancora gentilmente e faticosamente curati.... Luoghi di leggende anche inquietanti, dove la notte è lunga e fredda perché i pendii delle colline, nei giorni d'inverno, diventano scrigni di ombre che subito si spalancano al crepuscolo.
La vecchia mulattiera che, snodandosi tra i più importanti borghi della valle, costeggia ancora oggi la gorgogliante Sonna, attraversa luoghi dimenticati dal tempo, come la meravigliosa san Michele in procinto di franare su se stessa, e porta infine al valico di Valcava, che conduce alla Val Imagna. Può essere un viaggio interessante, sulle orme secolari dei padri, ideale vagabondaggio con passo lento e meditato, invernale per definizione. Prima che il poco che rimane diventi polvere, vale la pena viverlo, anche se appare così ingannevolmente vicino.
(foto di S., località la Bratta)

giovedì 21 novembre 2013

La Cacciamorta orobica, da Wotan all'uccellatore


E mi sovvien che un vecchio uccellatore
(e noi, fanciulli ancora, intorno intorno
ascoltavamo con pupille immote)
narrava del Diavolo la caccia
pei dossi della squallida Mughera.
Negra di pelo, orribile, con gli occhi 

fiammeggianti,, vedevasi una cagna
fuggire velocissima ululando:
e dietro ad essa un'affannosa muta
di segugi fantastici, e dovunque
voci d'inferno e strider di catene.
                               (B.Belotti, in "Val Brembana", poemetto, 1930)


Ho già descritto precedentemente alcuni aspetti dell'esistenza di un patrimonio di credenze e tradizioni comuni in tutto l'arco alpino e più in generale nell'europa settentrionale, il quale assume di volta in volta diverse forme a seconda del luoghi e delle genti.  Con l'avvicinarsi del Rauhnacht, che sulle nostre montagne, in certi suoi aspetti, venne trasmesso e anticipato al periodo che intercorre tra il Samhain celtico, il giorno dei Morti, e il dì di san Martino, non posso non parlare della leggendaria caccia selvaggia (wilde jagd). Nell'arco di dodici notti, collocate più o meno nel periodo del solstizio invernale, si incontra nella tradizione nordica (Germania e Britannia, poi il resto d'europa) questo tema. Nella fredda oscurità delle valli e dei boschi ormai nudi, Wotan a cavallo di Sleipnir correva in una folle caccia insieme alle legioni demoniache e a Perchta, una forma arcaica di Frigga. Un mito questo essenzialmente solare, legato anche al viaggio di Odino negli inferi, e quindi a morte e rinascita, che nella sue veste orobica assume posteriormente connotati inevitabilmente cristiani. Nel periodo della "festa di Mort" ritroviamo, nella bergamasca, la "caccia morta". Per gli anfratti delle nostre montagne, tra gli scoscesi dirupi boscosi e le gelide forre dei ruscelli, le anime dei cacciatori che in vita non andavano mai a messa erano condannate a seguire per l'eternità la selvaggina, insieme a terribili segugi infernali. La cacciamorta passava facendosi udire dalle gole più profonde delle vallate, con strepiti e urla inumane. Si diceva che solo coloro che durante il proprio battesimo erano stati tenuti in braccio da qualcuno che non aveva recitato le orazioni d'obbligo fossero in grado di udirla.
L'affascinante e millenaria leggenda della cacciamorta era molto radicata tra gli abitanti delle nostre montagne fino a un secolo fa, quando molti di loro narravano con grande timore dei loro spaventosi incontri con quella calca infernale.

http://www.leggende.vallebrembana.org/caccia.html