sabato 30 luglio 2011

La vergine della grotta

Il mio suono è un suono sfatto, reduce di vecchie ebbrezze, esausto e ripetitivo, dai toni bui, di un bruno scuro e profondo.

L'oro solare cola dalle fronde del carpino nero all'interno della grotta mentre scrivo del mio suono, privato d'ogni ritmo. L'urlo rauco di un cinghiale riecheggia lontano nella valle boscosa. Subito mi attraversa un odore selvatico, primordiale di radici, pelo ispido, sangue e sperma.Quanto vorrei che fosse il mio suono la guida, la traccia invisibile dei miei metamorfici possibili, e non l'opposto. Vivrei allora in funzione di un'arte, intuirei un significato che non sia incrostazione di altri significati. Ma la catena del senso mi ha in odio, ed io schifo i suoi anelli di carne umana. Fuori dalla grotta il suono della pioggia e la luce del sole d'estate.

Trovo quindi i miei suoni, come un naufrago, tra ondate ubriache, perché libero allora dai legami con l'Altro. Libero e debole, l'assoluta libertà sconfinando nella follia, senza meta né centro, a brandelli sul vuoto di ogni cosa. È uno stato di mezzo, bisogna rendersene conto. L'era della lotta solitaria; gli anni oscuri dell'esilio. Vorrei fare del suono un'arma: vivendo e scontrandosi con l'essere, si tingerebbe dell'opaca trasparenza del solve alchemico: lo vibrerei nell'atto cruciale della mia trascendenza istantanea. Credo che nessun fine sarebbe più nobile di questo, per il mio suono.Non si parla di arte, ma di vita e di morte. Che le leggi della prostituzione spirituale, fulgidi bagliori della decomposizione di quest'epoca, non ne intacchino il suo ingiudicabile sentire; che possa vibrare negli stati luminosi e furenti di una qualche tragicomica ispirazione, così come nel mezzo delle putrefazioni inevitabili dell'essere, che attendono da anni sulla soglia della mia persona. Avanti, allora! Che il buio mi avvolga affinché nessuno mi scorga, mentre sradico il giudizio nella cecità di passato e futuro. Che io possa giurarmi fedeltà e tradirmi cento volte durante il coito inconsistente del tempo, ma mai nell'ultimo estremo confine terrificante di me stesso.


IL PROBLEMA DELL'ARTE

OSSIA l'arte si è stratificata nell'uomo: non bado a superamenti o dualità di sorta, quanto appunto alla questione della trascendenza. Dal coacervo banale, sconfinato e prevedibile dei possibili umani l'arte ha tratto le proprie fondamenta; e ci è stata preclusa la sua forza dirompente e tenebrosa, la sua capacità di intuire e sfiorare l'estremo al di là della morte. Era la musica rituale dei tamburi nella notte, la pittura mistica delle grotte sotterranee che favoriva i cacciatori nei loro compiti, il suono innominabile della parola sacra urlata dal sacerdote in preda ad ebbrezze non più di questo mondo. La vita si è data al tutto e così l'arte divenne prostituzione. I meccanismi di un'arte che oggi cerca di tornare alla propria natura, dopo millenni di asservimento all'uomo, paiono macchinosi, e ovviamente incollati ai residui mentali individuali... ma in ogni caso,coscientemente o meno, il punto d'arrivo è teoricamente il medesimo: l'assoluto trascendente, conosciuto in quest'epoca come NULLA.

Anche la “forma” e l'”informe” mi sembrano giustificabili solo in questo senso.Ovviamente parlando d'arte, non di puttane.

(dipinto di Dim Sampaio)


giovedì 21 luglio 2011

frammenti onirici-3

Un sogno di qualche tempo fa.


Mi trovo in una vecchia città da qualche parte del nord Europa, credo nei primi anni del XX secolo. Vivo in una antica e piccola stanza poco illuminata, nelle immediate vicinanze della piazza cittadina, che è anch'essa di piccole dimensioni, stretta da un cerchio di alte abitazioni dalla tipica architettura di stile nordico. È inverno, ma c'è poca neve: si può avvertire la forte sensazione dell'oscurità calante verso sera, anche a causa del fatto che la luce elettrica dei lampioni non è ancora diffusa tra le strade principali della cittadina. Sono un universitario o comunque uno studente . Vengo a conoscenza tramite voci che girano tra amici dell'esistenza di una particolare bottega di giocattoli, ma soprattutto di marionette e burattini, tenuta da un bizzarro e sconosciuto giovane studente dell'università. Non ricordo se giravano strane voci riguardo, ma mi pare di no (ho avuto una specie di flashback improvviso sulle bambole e i burattini e sull'estrema solitudine di questo tizio; in qualche modo sapevo che egli vedeva nei suoi giocattoli tutto il suo mondo. In particolare, mi parve che una delle sue bambole, raffigurante un ragazzino ariano, gli sorridesse, ma non ci feci molto caso). Decido allora, insieme a tre miei amici, di andare a visitare la bottega. Li incontro fuori dalla mia casa, in pieno centro cittadino. È un tardo pomeriggio in pieno inverno, la luce in calo è grigio sporca; si può sentire l'odore di combustibile bruciato provenire dai camini delle case. La bottega si trova poco oltre la piazza cittadina, nei pressi di un vicolo stretto e buio, ed è piuttosto nascosta. È situata in un vecchio seminterrato, e per accedervi bisogna scendere una scaletta che lascia intravedere in fondo l'entrata del negozio. Mentre scendiamo, posso osservare all'interno il giovane commesso comportarsi in modo piuttosto strano (parla da solo e gioca con dei modellini di navi e velieri). Nel momento in cui entriamo in qualche modo sappiamo già che qualcosa non funziona. L'atmosfera è statica e carica allo stesso tempo. Il giovane commesso, biondo, riccioluto e occhialuto, inizialmente non profferisce parola, né ci guarda. Poi inizia a intimarci di fare delle cose. Mi assale un senso di urgenza. A due dei miei amici ordina di chiudere a chiave le porte d'accesso alla bottega, che sono due: una è quella dalla quale siamo entrati, l'altra dà sul retro del negozio e porta direttamente al vicolo nero e malsano sul quale è situato. Al terzo mio amico ordina di avviarsi al piano superiore dell'abitazione e di attendere lì. Tutti loro ubbidiscono: è ormai chiaro che il commesso detiene un potere pauroso che forzatamente ci sottomette, mentre dalle mensole della bottega le bambole, le marionette e i burattini ci osservano, vuoti e artificiali. Il bottegaio si rivolge poi a me, mi ordina di spogliarmi e di prepararmi a subire cinque operazioni chirurgiche, nella cui esecuzione sarà aiutato dalle sue piccole creature. Mi pervade un terrore cieco mentre intorno a me le marionette e tutto il resto prendono vita e mi afferrano: arrivano dappertutto e sono talmente impaurito che chiudo gli occhi per non vedere cosa stia per accadere. Inoltre sono fortissime: posso sentire la loro morsa meccanica serrarmi le membra mentre mi trascinano inesorabilmente verso il commesso. Finalmente comincio ad opporre una resistenza disperata, anche se il terrore mi toglie la forza, e riesco dopo sforzi immani a liberare una gamba e un braccio, e infine tutto il corpo. Mi precipito verso l'uscita secondaria del negozio: gli altri due amici rimasti con me decidono anch'essi di tentare la fuga, e comincia una fase concitata. Il burattinaio si incazza e fa accorrere dal piano superiore (l'amico che era rimasto là ben se ne accorge, dato che comincia a urlare in preda all'orrore) le sue “marionette umane”, che io non vedo ma che so essere orribili parti anatomiche di uomini assemblate in modo molto macabro tra loro e in grado di muoversi (simili alle bambole di Bellmer in versione “reale”). La consapevolezza del fatto che quelle cose, dal piano di sopra, si stiano avvicinando, mi impaurisce assai. Non scorgo più i miei amici mentre in qualche modo riesco ad accedere precipitosamente al retro del negozio, ma sento il terrore nella voce di uno di loro che urla rivolto alle cose che stavano arrivando qualcosa di correlato al fatto che li avesse identificati quali “cacodemoni”. La natura demoniaca di tutto quell'affare mi fa cagare ancora più addosso. Ho una fugace visione mentale di una creatura una volta umana in un corridoio buio, a cui è stata sostituita la parte superiore del corpo con delle altre gambe maschili attaccate al contrario... ecco a cosa si riferiva il bottegaio riguardo le operazioni che io, come gli altri, avremmo dovuto subire... ma non vedo comunque in prima persona nessuna di queste creature, pur consapevole del fatto che ne abbia almeno un paio alle calcagna.

Infine riesco a mettermi in salvo e a tornare tra le strade ormai buie della vecchia cittadina. Comincia a nevischiare. Sono conscio non so come della sopravvivenza dei miei amici, anche se non li vedo. Torno nel mio piccolo monolocale illuminato da una candela e ripenso al bottegaio solitario che gioca e parla con le sue bambole, giù nel seminterrato del suo negozio.

lunedì 4 luglio 2011

frammenti onirici-2 /sogno lucido e un astrale

Una notte estiva, tra i molti svantaggi che reca, ha dalla sua il caldo, che sfavorisce sonni particolarmente profondi (e riposanti). È quindi molto più semplice fare esperienze quali i sogni lucidi, poiché il livello di veglia cosciente rimane piuttosto elevato. La prima sera di Luglio di quest'anno è stata infatti piuttosto densa; un lungo sogno cospirazionista a sfondo esoterico di cui dico solo che coinvolgeva istituzioni quali le scuole e gli ospedali (nei sotterranei di questi ultimi si operavano riti di una terribile depravazione). Più interessante il sogno lucido: perlopiù non interamente cosciente, ma quasi. Svolazzavo per una grande città, e mi sono ritrovato su un grande edificio simile a una scuola. Era costruito in cemento e pietra grigia, architettonicamente simile a costruzioni della fine del XIX secolo. Non sapendo cosa fare, ho prima materializzato una “professoressa ideale” (chi ha orecchie per intendere...) con la quale ho cercato di avere un rapporto sessuale che è però quasi subito sfumato (ho intuito che proseguendolo avrei rischiato di svegliarmi attaccato in modo equivoco al materasso...). Successivamente, in piedi sul tetto della struttura, ho iniziato ad ingrandirla, aggiungendo complessi architettonici simili, dalle cui vetrate vecchie e sporche si potevano intravedere gli interni avvolti da una scura penombra, da pomeriggio invernale, aule, corridoi etc, completamente vuoti e silenziosi. Potevo sentire un senso di isolamento buio e di cose dimenticate fuori dal tempo provenire da questi interni. Rendendomi poi improvvisamente conto che essendo all'interno del sogno potevo ricordare ancora perfettamente il contenuto del sogno cospirazionista che ho citato all'inizio, e che si era svolto prima di essere entrato nel lucido, ho deciso di creare una mia copia identica con la quale dialogare, che in qualche modo avrebbe dovuto funzionare come una materializzazione onirica della mia memoria fisica; una volta creata, cominciai a narrarle(-mi) a chiare lettere ciò che era successo fino a quel momento, in modo che una volta sveglio “magicamente” mi sarei ricordato tutto alla perfezione, almeno in teoria. Ovviamente non ha funzionato appieno, poiché c'erano semplicemente troppe cose da narrare alla copia, quindi anche questa catena di eventi è sfumata. Inoltre non si parla di contenuti interamente mnemonico-mentali, ma anche di atti di coscienza. Non è semplice come dare un resoconto di avvenimenti avvenuti nella realtà quotidiana.
Dopo tutto ciò, ho provato ad entrare in astrale. Esperienza divertente, anche se condotta non al meglio. Ero intrappolato nel mio sogno lucido, incerto su come raggiungere il piano astrale da quella condizione. Allora ho ricominciato a volare in giro, stando attento a non alzarmi troppo dal livello del terreno (perché facendolo rischiavo di farmi prendere dalla paura dell'altezza, e di perdere conseguentemente il controllo del sogno). Allora ho intuito che probabilmente sarebbe successo qualcosa se avessi provato ad acquisire una “velocità di volo” sempre maggiore (sembra una puntata di Dragon ball, ma è proprio così). Ho iniziato. Aumentavo di velocità vertiginosamente, e dopo un po' ho cominciato a vedere intorno a me quelle vorticanti e fumose energie tipiche dei miei stati ipnagogici. Ho avuto un momento di esitazione , dovuto alla possibilità che perdessi il controllo dell'operazione, che ho superato regolando ritmicamente la respirazione, anche se in modo un po' convulso. All'improvviso mi sono ritrovato letteralmente sparato fuori dal corpo, spinto contro il muro del soffitto che vedevo chiaramente a poca distanza da me, con il battito del cuore a mille. Ho fatto appena a tempo a riuscire a girare lo “sguardo” dietro di me, e ho visto il mio corpo sul letto, di sotto. Agitatissimo, mi sono risvegliato subito. Tutti questi ultimi istanti si sono succeduti in maniera oltremodo concitata e rapida, per qui non ho avuto la coscienza completamente salda per tutta la breve durata dell'esperienza, rivelatasi comunque piuttosto istruttiva.